JESI – «Profondo dispiacere per la chiusura della Fondazione Colocci. A Jesi si è deciso di mollare: oramai da tempo si ha l’impressione che chi amministra Jesi, finisca sempre con il valutare le possibilità solo in base ai danari. Le relazioni nella nostra città muoiono in conseguenza dell’eccesso (vedi spostamento fontane) o del difetto (vedi Fondazione Colocci) delle ragioni economiche che si manifestano. Non si ravvisa altro schema di ragionamento». Così il segretario del Partito Democratico di Jesi Stefano Bornigia sull’annunciato scioglimento e messa in liquidazione della Fondazione che ha gestito per anni in città i corsi universitari UniMc.
Secondo Bornigia, la Colocci «nei suoi 25 anni di storia cittadina è stato strumento di alta formazione per tanti giovani e non del nostro territorio. Una storia avviata nel 1996 dal governo di centro sinistra cittadino e che si conclude nell’era nella quale molti segnali negativi, sia di natura sistemica ma anche istituzionale e politica, stanno incidendo in maniera negativa sulla nostra città e in una dimensione anche più ampia. L’esperienza Universitaria di Jesi, a dire il vero, era già stata chiusa a fine 2019 quando la Fondazione Colocci, che ospitava la sede distaccata dei corsi di Giurisprudenza e il biennio magistrale, e l’Università di Macerata, interrompevano l’accordo in base al quale i corsi si sarebbero svolti fino al 2025. Una circostanza anche all’epoca motivata dall’impossibilità da parte della Fondazione Colocci di sostenere i costi previsti per la collaborazione con l’Università di Macerata, essendo venuta meno una parte importante del sostegno finanziario su cui contava. Seguiva il parziale mutamento della compagine sociale della Colocci, la quale annunciava anche il riadattamento della sua missione sociale, rivolta all’organizzazione di master. Esperienza che non è riuscita, nemmeno con la didattica a distanza».
È qui che affonda Bornigia: «Ci sono indiscutibili difficoltà di contesto, nessuno lo nega. Ma è in contesti come questo che la scelta torna inevitabilmente a ridursi ad una brutale alternativa: resistere o mollare. A quanto pare a Jesi si è deciso di mollare, sancendo la chiusura del contenitore che custodiva la nostra comune esperienza di 25 anni di alta formazione didattica. Di fronte a questa scelta crediamo però che i cittadini debbano poter comprendere pienamente se la storia della Fondazione Colocci potesse avere ancora uno spazio e un tempo da utilizzare per riorganizzare la sua missione originaria. Le risorse che c’erano non ci sono più e di fronte al contesto tanto basta, si chiude. Come se l’Università (come pure altro) dovesse determinarsi e determinare la vita di un territorio sulla sola capacità economica. I contenitori che organizzano formazione sono in primo luogo soggetti di relazione. Sono vettori cioè capaci di indirizzare e convogliare forze sociali, economiche e produttive, istituzionali, utili ad organizzare una comunità sulla base di spinte altamente qualificate. Contribuiscono al consolidamento qualificato di un humus cittadino e territoriale. É questa qualità del tessuto urbano che chi amministra trascura e non lo fa solo in questa circostanza».
Prosegue il segretario dem: «Le relazioni nella nostra città muoiono in conseguenza dell’eccesso (vedi spostamento fontane) o del difetto (vedi Fondazione Colocci) delle ragioni economiche che si manifestano. Non si ravvisa altro schema di ragionamento. Crediamo invece che anche in ragione della drammatica attualità che stiamo vivendo chi amministra debba provvedere a scelte che non siano determinate dal mero rapporto di sopravvivenza economica ma da una necessaria salvaguardia delle consolidate esperienze e relazioni che hanno consentito il disegno e lo sviluppo del nostro paesaggio urbano. Soprattutto da lì sarà necessario ripartire. In fine in questa vicenda ci auguriamo che venga tenuto conto del ricollocamento del personale dipendente».