JESI – «Non si sono capiti gli sviluppi del sistema». In sintesi è questo il problema che affligge l’iniziativa delle biciclette in condivisione a pedalata assistita, “bike sharing”, abbandonate da tempo nelle loro postazioni cittadine.
Sei anni, dal luglio 2011, quando il servizio fu inaugurato, vissuti quasi come un calvario.
L’assessore Cinzia Napolitano – allora non era questa la maggioranza che governava la città –, che tra le proprie deleghe ha appunto anche quella della mobilità sostenibile, non demorde, difende l’idea, prova a spiegare: è tutta la manutenzione che non ha funzionato. Anche perché fatta di costi esorbitanti.
«Le biciclette non sono state abbandonate, semplicemente non funzionano – sostiene – perché ancora le considero un vantaggio per la mobilità sostenibile, però le difficoltà incontrate “per strada” sono state più forti di me e di qualsiasi altra volontà».
Quelle rimaste, 19, – tre sono state rubate – saranno tolte e sistemate, per il momento, in un magazzino comunale ma l’intervento non è stato ancora possibile effettuarlo perché la tessera elettronica che abilita allo sganciamento non funziona.
«A questo punto – sostiene l’assessore – o cambiamo il sistema originale, quello del 2011 fornito dalla ditta “Bici in città“, oppure dobbiamo cercare di recuperarlo ma ai cittadini va detto chiaramente che i costi annuali per mantene il “servizio” si aggirano sui 10mila euro, tra manutenzione, quelle che si rompono e vanno aggiustate e qualcuna che si deve comprare nuova. Una ipotesi era quella di farle utilizzare turisticamente, legate al distretto ciclo-turistico che avrebbe potuto apportare altri finanziamenti. Ma ora l’unica cosa che posso dire è che i costi ci sono e non sono pochi. Aggiungo che in alcuni Comuni come quello di Schio sono state soppresse dopo due anni».
In sostanza, pur essendo le biciclette di proprietà del Comune si tratterebbe di una proprietà “ridicola”, perché tutto è legato al sistema elettronico che appartiene alla ditta “Bici in città” e quindi per riparare eventuali guasti è l’unica che può farlo. Non altri.
E non lo ha mai fatto in tempi stretti, tanto è vero che «avevamo le mani legate, dopo appena sei mesi dall’installazione già le bici si erano bloccate e non è che la ditta piemontese sia mai intervenuta subito».
La diffida da parte del Comune è del marzo scorso, diffida nella quale si richiede il ripristino immediato della funzionalità relativa all’impianto, susseguente a una determina per pagare l’intervento e l’aggiornamento del sistema. Niente da fare. Le bici sono ancora lì, inutilizzabili.
«Sono 5 anni che combattiamo, io sono arrivata a giugno del 2012 e le biciclette già non c’erano, erano in manutenzione a Torino. Ce le hanno riconsegnate verso la fine dell’anno e dovevano funzionare. Ma da quel momento in poi è successo di tutto ed era finita anche la garanzia. Circa 2mila euro all’anno costava la manutenzione del sistema di software, ormai oggi obsoleto e, quindi, da aggiornare. Con altre spese. Nel complesso non aveva senso avere un sistema fatto in questo modo e l’ho fatto più volte presente alla ditta, ma non siamo riusciti mai a fare niente».
«Nel 2015, con un progetto europeo, avevamo fondi per sperimentazioni sulla mobilità sostenibile. Avrei potuto implementare il sistema, sostituire la scheda – di difficile reperibilità, spesso, per chi veniva a Jesi -, con un’altra tipo bancomat, progetto del costo di circa 3 mila euro, ma alla fine, di punto in bianco, la spesa era salita a quasi 12 mila».
All’inizio del 2013 si sono cominciate a rompere le batterie, una per volta, fino a toccare il numero di 10 biciclette nelle quali andava sostituita la parte più costosa, proprio la batteria che alimenta la pedalata assistita. Costo: 8mila euro.
«Per non parlare del fatto che pagavamo una cooperativa, la “Cisa Lavori” – ora il contratto è interrotto –, per la manutenzione ordinaria, tipo sostituzione di pedali e accessori rotti, spostamenti, per poco più di 700 euro all’anno. Ma anche in questo caso con “Bici in città” sono sorti problemi perché avrebbero voluto occuparsi anche di questo».
E il tutto a fronte di incassi che a fine 2014 registravano un introito di 165 euro, nel 2013 di 145 euro e nel 2012 di 755 euro. Si era pensato anche di passare alla pedalata “semplice”, non assistita, ma anche qui i costi annui non erano pochi: 40 mila euro il preventivo.
Non solo, ma vista l’usura inevitabile nel tenere le biciclette all’aria aperta «avevamo proposto di spostarle al parcheggio Mercantini. Fatto il sopralluogo la risposta è stata negativa, andava contro la “filosofia” del sistema».