JESI – «Civica benemerenza (cittadinanza benemerita e/o onoraria) alla memoria dei Martiri di Montecappone, Armando Angeloni, Luigi Angeloni, Vincenzo Carbone, Francesco Cecchi, Calogero Craceffo, Alfredo Santinelli e Mario Severi per onorare il sacrificio della loro vita». A proporla, il consiglio comunale unito, sottoforma di mozione sottoscritta dai consiglieri comunali Marco Giampaoletti (Lega), Nicola Filonzi (Jesiamo), Andrea Binci (Pd), Francesco Coltorti (Jesi in Comune), Silvia Gregori (Forza Italia), Claudia Lancioni (Movimento 5 Stelle), Maria Chiara Garofoli (Jesinsieme) e Lindita Elezi (Patto x Jesi). L’idea è partita proprio dal salviniano Giampaoletti anche per chiedere «che la cerimonia per la consegna della cittadinanza ai familiari, venga fatta possibilmente il 20 giugno, giorno in cui ricorre la commemorazione, e nel luogo dell’eccidio». Scontata, ovviamente, l’approvazione in consiglio comunale martedì 12 maggio.
Come viene riportato dall’atlante delle strade naziste e antifasciste in Italia, «nel pomeriggio di martedì 20 giugno 1944 una squadra di soldati tedeschi e fascisti fermarono, nel comune di Jesi, lungo via Roma all’altezza dell’edicola del Crocifisso, una ventina di ragazzi, intenti a discutere tra loro dei fatti del giorno. Le forze nazifasciste bloccarono gli accessi della via e fecero mettere in fila i giovani, per poi obbligarli a incamminarsi verso villa Armanni, in contrada Montecappone, dove si era acquartierato da qualche giorno il loro comando. Giunti alla villa, i rastrellati furono rinchiusi nella bigattiera del colono Massacci, perquisiti, minacciati, bastonati e infine rimessi in libertà, tutti, meno sette: Armando Angeloni, Luigi Angeloni, Vincenzo Carbone, Francesco Cecchi, Calogero Craceffo, Alfredo Santinelli e Mario Severi. La selezione avvenne dopo che tutti sfilarono davanti a una porta, al di là della quale, al buio, si suppone vi fosse il comando fascista insieme ad una spia, una ragazza di Fabriano, in base alle cui indicazioni, i giovani vennero suddivisi in due gruppi: una parte fu rilasciata e rimandata a casa, l’altra, costituita da presunti partigiani, fu trattenuta e condannata senza alcun processo a morte. A nulla servirono le grida di dolore e le implorazioni, i giovani furono seviziati e torturati, tanto che quando vennero condotti in un vallone a circa 200 metri di distanza dalla villa, sarebbero apparsi irriconoscibili per le violenze subite. Furono uccisi con qualche scarica di mitraglia e finiti, secondo le testimonianze, con i pugnali e i calci dei fucili».
Nel posto dell’eccidio è stato realizzato un monumento nel 1988 dallo scultore Massimo Ippoliti, composto da un Cippo, restaurato negli anni, in ricordo di 7 ragazzi raffigurante tre uomini impauriti, sofferenti e disperati. Nei cittadini jesini, infatti, e per molti anziani è ancora vivo il ricordo di quella notte: accusati di essere partigiani, i sette giovani vennero seviziati, torturati e brutalmente offesi tanto da essere resi irriconoscibili. I familiari ritrovarono i corpi dei loro cari solo nei giorni successivi poiché erano stati gettati dentro un fossato. Fu data loro una degna sepoltura e sul posto della fucilazione fu collocata una lapide diventata poi un monumento in loro ricordo.