JESI – Dialogare per capire. Ma anche saper comunicare senza cadere nel conflitto. Gestendo paura e rabbia. Anche sul posto di lavoro. Ecco allora un incontro a distanza dal titolo “La relationship tra colleghi”: una diretta facebook organizzata dall’Apsi-Associazioni Professioni Sanitarie Italiana (Provider Ecm). A parlarne tra gli altri, Roberta Cesaroni, life mental coach. L’appuntamento è in programma mercoledì 15 alle ore 19.
«La comunicazione è importante, anche, e soprattutto, nella vita professionale. Come si può allora garantire che la comunicazione tra colleghi sia adeguata e non si cada nella “trappola” del conflitto e delle incomprensioni? Comunicare deriva dal latino “communicare” che vuol
dire mettere in comune, e quindi ascoltare, avere la giusta prossemica, vuol dire avere la posizione N/O (naso/ombellico), verso la persona che parla», spiega Cesaroni.
La comunicazione influisce su vari aspetti. Da un lato, è necessario tenere conto della persona a cui ci si rivolge. C’è una gerarchia da rispettare? Oppure si tratta di due colleghi allo stesso livello? «Se la comunicazione tra colleghi e tra superiori e subordinati è inadeguata è probabile che, in breve tempo, sorgano dei problemi», aggiunge Cesaroni.
E allora cosa succede quando si entra in conflitto?
«Il conflitto è un’esperienza che pochi possono dire di non aver mai vissuto,
e quando ci entri ne vieni travolto e rimani intrappolato nelle sue dinamiche senza renderti conto di cosa lo anima e cosa è possibile fare
per liberarti dal gioco della contrapposizione che si basa sulla logica torto/ragione, giusto/sbagliato, vero/falso. Questa configurazione tipica della visione dualistica del conflitto è spesso produttiva di disagio e malessere.
Quale prezzo si paga a dedicare gran parte delle energie al conflitto?
Dovremmo essere abili a surfare sul conflitto, cioè a cavalcare l’energia dell’onda emozionale. Se ci prendiamo il tempo per confrontarci e comunicare apertamente, e’ quasi impossibile che si presentino malintesi e conflitti. Mettere da parte le proprie emozioni negative prima che diventano veri e propri conflitti fa parte di una strategia di
comunicazione positiva», racconta Cesaroni.
Le emozioni, dal verbo latino moveo, (muovere), con l’aggiunta del prefisso e (movimento da), sono, essenzialmente, impulsi ad agire. In altre parole, piani d’azione dei quali ci ha dotato l’evoluzione per gestire in tempo reale le emergenze della vita.
Esse sono delle cariche energetiche che producono movimento su molti piani, tra cui quello fisiologico (metabolismo, respirazione, battito cardiaco, pressione, circolazione); cognitivo (modificazione dei pensieri, impressioni, valutazioni); psicologico (controllo di sè, abilità personali, sensazione soggettiva,); e comportamentale (espressione, tono della voce,
postura, reazioni).
LA RABBIA
«Nella comunicazione dobbiamo imparare in primo luogo ad essere consapevoli delle proprie emozioni per poi sviluppare l’intelligenza
Emotiva, ovvero la capacità di monitorare e dominare le emozioni proprie e altrui e usarle per guidare il pensiero e l’azione – dice Cesaroni – La prima emozione su cui lavorare per una comunicazione e una relazione sana con i colleghi è la rabbia, emozione tipica del conflitto, che appartiene alle emozioni primarie, coma la paura, il disgusto, la sorpresa, la tristezza, la gioia. Essa ha origine da un innato istinto a difendersi per sopravvivere nell’ambiente in cui ci si trova quando si è attaccati o quando si
percepisce un’offesa. Si sviluppa per eliminare un ostacolo.
Sono numerosi i motivi per cui ci si arrabbia: per esempio se si ha la sensazione di non essere ascoltati o capiti non c’è che aspettarsi che il malessere cresca piano piano fino a scoppiare. Che fare allora? Ci si dovrebbe tranquillamente confrontare risolvere il problema in fase embrionale».
Quando ci si arrabbia il corpo è direttamente interessato. Da una parte si manifesta una particolare mimica facciale, si aggrottano la fronte e
le sopracciglia, si serrano i denti, l’organismo assume una postura che permette di entrare in azione da un momento all’altro, di attaccare
o di aggredire. Dall’altra, si manifestano anche variazioni fisiologiche come l’accelerazione del battito cardiaco, aumento afflusso del sangue nella periferie del corpo, maggiore tensione muscolare.
LA PAURA
Un’altra emozione che si sviluppa in una non sana comunicazione è la paura: stati di diversa intensità emotiva che vanno dal timore all’apprensione alla preoccupazione all’inquietudine fino all’ansia alla fobia e al panico.
«La paura si manifesta quando si verificano situazioni in cui pensi o ritieni di essere minacciato da qualcosa o da qualcuno e di conseguenza
interviene il meccanismo di difesa attraverso re-azioni automatiche, come aggressività, attacco, fuga. Per una sana comunicazione al lavoro occorre fare un lavoro di auto-consapevolezza emozionale, cioè riconoscere le proprie emozioni, auto-osservarsi. Occorre avere consapevolezza emotiva, capacità di identificare ed esprimere ciò che si sente di momento in momento, allenare la capacità di capire la connessione tra i propri sentimenti e le azioni», conclude la life mental coach.
L’APSI
L’Associazione Professioni Sanitarie Italiana nasce nel 2008 (ex legge 266/91 e L.R. n°11/1994), grazie all’incontro, all’intesa e alla cooperazione di un gruppo di professionisti della Salute. Obiettivo: mettere insieme le diverse competenze professionali su tutto il territorio nazionale ed elaborare percorsi, modelli organizzativi, progetti assistenziali, col fine ultimo del bene del cittadino nell’ottica del diritto alla cura e alla salute.
Nel 2015, dopo anni di esperienza professionale e acquisizione di conoscenze circa le necessità dei cittadini di vari contesti sociali e dopo aver svolto indagini e studi mirati al rilevamento dei bisogni degli stessi, Apsi riconosce nel suo operato e nei suoi obiettivi primari e secondari la necessità di integrazione tra l’area delle Professioni Sanitarie e quella delle Professioni Sociali. «L’intuizione nasce dal presupposto esperienziale che questi due mondi, seppur operanti entrambi nell’ambito della relazione d’aiuto e seppur presenti entrambi nella maggior parte della rete dei servizi assistenziali socio sanitari, difficilmente creano ponti di comunicazione efficace», spiega l’ente.