JESI – L’untore dell’Hiv Claudio Pinti, condannato a 16 anni e 8 mesi per omicidio volontario aggravato e lesioni personali gravissime, è stato scarcerato ed è a regime di arresti domiciliari per potersi curare. Da sette mesi. La donna che coraggiosamente lo ha denunciato, permettendo alla Procura di aprire un’inchiesta e di arrestarlo, Romina Scaloni, lo ha saputo per caso. Ed è sconvolta.
«Mi ha inflitto un virus mortale, con premeditazione. Voleva uccidermi, come ha fatto con Giovanna Gorini, la sua compagna e madre di sua figlia… Lo sapevo in carcere, condannato a 16 anni e 8 mesi, invece scopro per caso che è fuori, a casa sua, che potrei trovarmelo davanti. Sono ripiombata nell’incubo».
Romina Scaloni il 4 maggio 2017 ha scoperto di essere stata contagiata dall’Hiv trasmesso da Claudio Pinti, 42 anni. L’uomo era sieropositivo dal 2007 ma ebbe rapporti con decine di donne senza avvertirle della malattia mortale. Contagiò anche Giovanna Gorini, che morì nel 2017 per una patologia riconducibile all’Hiv non curato poiché Pinti, con le sue teorie negazioniste, non voleva curarsi spingendo anche la compagna a non farlo. Quella data, “4 maggio” è il titolo del libro autobiografico con cui Romina Scaloni racconta la sua storia con l’untore, la data in cui la sua vita è cambiata.
Romina, come ha scoperto che Pinti è ai domiciliari?
«L’ho scoperto per caso, qualche giorno fa, durante la presentazione del mio libro a Falconara. Mi ha avvicinata un conoscente, dicendo che lo aveva visto all’ospedale di Torrette».
Come ha reagito a quella notizia?
«Non ci potevo credere, lo sapevo in carcere…infatti gli ho risposto che doveva averlo scambiato per qualcun altro, non era possibile».
Invece era così, da sette mesi.
«Assurdo. Inaccettabile. Il mio avvocato Alessandro Scaloni a cui l’ho riferito, ha fatto delle ricerche. Effettivamente era stato scarcerato e da sette mesi sta ai domiciliari per un aggravamento delle condizioni. Assurdo. Quando me lo ha detto sono stata malissimo. Non ci volevo credere, non ho dormito per 3 notti, ho gli incubi ».
Ora come sta?
«Sto male anche ora, mi sento tradita e abbandonata dalle istituzioni. Sapere che quel demonio è tornato a casa, mi ha restituito un dolore che avevo cercato di rielaborare con tanta fatica. Ho dovuto spendere di tasca mia per essere aiutata da un professionista terapeuta, abbiamo fatto un lavoro molto intenso. So che certe ferite sono indelebili e ci dovrò fare i conti per sempre. Ma adesso questo non lo posso accettare».
Quale la sua paura più grande adesso?
«Di trovarmelo di fronte poiché periodicamente mi sottopongo a visite nel reparto di Malattie Infettive a Torrette, dove si cura anche lui. Chi mi tutela? Potrei incontrarlo. Non so come reagirei onestamente…».
Cosa prova?
«Tanta rabbia. Non mi sento tutelata come vittima, anzi. Il paradosso è che un detenuto ai domiciliari può andare a curarsi da solo, senza scorta. Dunque potrebbe scappare, potrebbe venire a cercarmi per vendicarsi che l’ho denunciato. La legge prevede che con una condanna definitiva le vittime non vengano avvisate di una scarcerazione del loro carnefice. Scandaloso».
Cosa le fa più rabbia?
«Che abbia i miei stessi diritti. Non ci credo che si è aggravato. E non mi importa, negava il virus no? Perché adesso vuole curarsi, quando non ha dato la possibilità a Giovanna di farlo, portandola alla morte? Non può avere i miei stessi diritti».
Oggi si sente diversa da prima del 2017?
«Mi sono accorta in extremis di essere stata contagiata. L’infezione aveva intaccato il rene, se lo avessi scoperto più tardi avrei potuto avere danni irreparabili, sarei stata costretta a fare la dialisi. La vecchia Romina è morta. Sono dovuta rinascere diversa, ricostruita anche grazie alla vicinanza di mio figlio, del mio avvocato e delle mie persone care che oggi non accettano di vedermi così, sempre senza pace. Non perdono lui e le persone vicine a lui che sapevano e hanno taciuto, lasciando che la nostra storia andasse avanti. È un incubo…sarò libera solo quando morirà».