Jesi-Fabriano

Coronavirus in Spagna, il racconto di uno jesino: «Dai “besos y abrazos” alle strade vuote»

Consulente di comunicazione e cantante jazz, Simone Grassi vive in Catalogna da quattro anni assieme alla compagna Celeste: « La nostra vita domestica è diventata la nostra città»

Simone Grassi e la sua gatta Misha a Barcellona (Foto di Celeste Arroquy)

JESI – «Vivo a Barcellona da 4 anni nel quartiere Sants (2 da pendolare verso la Spagna, 2 da pendolare verso l’Italia). Uno dei quartieri più indipendentisti della città ancora abitato per lo più da catalani (il centro è un parco tematico per turisti in mano a pochi e grandi gruppi di speculazione immobiliare). Plaza de España da qui è a 10 minuti di passeggio. La famosa Plaza Catalunya a 10 minuti di metro. L’aeroporto El Prat a 10 minuti di aerobus. Perfino il mio appartamento, vivendo al sesto e ultimo piano senza ascensore, è a 10 minuti dal Pianeta Terra». Inizia così il racconto di Simone Grassi, uno jesino che ormai dal 2016 ha scelto di vivere in terra spagnola. Consulente di comunicazione e musicista jazz, descrive l’impatto del Coronavirus dal fulcro mondiale della movida.

Barcellona (foto di Simone Grassi)

«Il mio spagnolo oggi è buono per sostenere una conversazione senza risultare antipatico. Né il contrario – prosegue Grassi -. Poi all’improvviso, il 14 marzo il presidente Sanchez, con una conferenza televisiva a reti unificate condotta a denti stretti, ha dichiarato al paese il lockdown. Il giorno prima il Covid-19 era già per le strade di Barna (qui chiamano la città così, come Frisco negli States) ma ci si beveva ancora sopra, indifferenti all’allarme e divertiti dall’argomento, tra i soliti “besos y abrazos” che da queste parti dalle ore 19 in poi non si negano nemmeno agli ispettori del fisco. Fattore culturale che ha contribuito alla diffusione del contagio. Per tutti i primi giorni del mese io e Celeste – la mia compagna argentina, di origini andaluse, basche, calabresi, siciliane e jesina di adozione – abbiamo vissuto l’avanzata del Coronavirus come affacciati alla finestra: osservando impotenti la movida cittadina rimescolarsi all’ombra di una notizia buia e angosciante che dalle pagine dei giornali, dai social, dalle telefonate con parenti ed amici avanzava dall’Italia verso noi, svalicando i Pirenei fino ad entrare nelle case, forse anche attaccata alla suola delle scarpe degli spagnoli. E in breve portando uomini e donne anche qui in terapia intensiva».

I numeri sono stati subito preoccupanti, ricorda lo jesino, «anche qui confusi, ambigui, e rilasciati però con meno clamore di stampa e ciarlieri dibattiti social. E ancora lo sono a Madrid e nella nostra città. La quarantena ha svuotato le strade per giorni, così come il cuore e la pancia di Barcellona: l’economia è per tutto l’anno un ingorgo di brindisi e tapas compulsivi, mandrie di nordeuropei sbronzi (qui i nativi li chiamano “guiris”; si pronuncia “ghiris”… non è un complimento), coppie asiatiche che mappano la città vestiti da Arturo Brachetti, giovani italiani che “vanno a figa”, coppie e famiglie che ogni tanto affiorano dalle fiumane dello shopping. Ecco, tutto questo “No-stop Enjoy” è stato per due mesi un vuoto assordante: la città e le sue strade un irreale fermo immagine in streaming continuo, attraversato solo dai gabbiani, dai piccioni e dai rider in divisa gialla di Glovo per le consegne a domicilio, poi anche dalle rondini arrivate per la primavera. Nota curiosa: anche il canto degli uccelli è cambiato con la scomparsa del traffico. Forse senza il frastuono delle migliaia di macchine ogni giorno in movimento, gli uccelli hanno iniziato a sussurarsi tra loro».

Simone e Celeste

Casa e supermercato, insomma. «La routine della quarantena, come da decreto, ha visto la spesa come principale occasione di contatto con “il fuori”: fatta una volta a settimana e individualmente con “completino Covid19 2020” (che quest’anno è stato il trend “no logo” globale), guanti, mascherina, gel igienizzante in tasca (materiale quasi irreperibile per tutto il primo mese di lockdown), vestiti adeguati per la missione e da sterilizzare al rientro. Un astronauta in ricognizione sul “Pianeta Barna”, zigzagando i passanti e i clienti nei supermercati, in fila distanziato e silenzioso in strada per il tabacco e per il pane, sognando le passeggiate alla Barceloneta, le bellissime mostre d’arte al CCCB (Centre de Cultura Contemporània de Barcelona), le spiagge di Montgat e le escursioni gastronomiche serali in cerca di ristoranti tipici catalani “tourist free”. La nostra vita domestica è diventata la nostra città, il nostro paese, la nostra piccola nazione con tanto di tradizioni nuove di zecca, ritualità e personaggi istituzionali: il fitness in terrazza e la meditazione zen al tramonto, le lunghe carezze alla nostra gatta Misha (quest’anno diciottenne) sdraiati sul divano, il lavoro che – per grazia dell’autorità divina in carica – tra momenti di angoscia e qualche turbolenza non è mancato né a me né a Celeste (lei è dipendente Apple io consulente di comunicazione già da anni operativo “in remoto” con portfolio clienti tutto italiano… beh la mia jazz band è un’altra storia, purtroppo al momento completamente ferma sia in Italia che in Spagna)».

E poi, gli affetti “lasciati” nelle Marche. «La cena per me è il momento del contatto con il mio paese natale, quindi pasta, vino e lunghe preparazioni ai fornelli, video chiamate con i genitori, con mio fratello e con gli amici di oltre mare. Ovviamente il nostro vicinato è il nostro centro sociale e cuore degli affetti “live”: condividiamo il piano con 3 inquilini (tutti catalani) con i quali si chiacchiera sull’uscio della porta, dal balcone e con la chat Whatsapp con cui quando si scende (6 piani da fare…) si domanda sempre se qualcuno ha bisogna di un pò di spesa. Poi ci sono le relazioni allargate di quartiere, quelle che si intrattengono affacciati alla terrazza con i dirimpettai e con il vicinato che sui tetti organizza sessioni di fitness, solarium, asili nido familiari. Di norma questo avviene alle 20 di ogni sera, quando tutta la Spagna si affaccia ogni giorno alla finestra per ringraziare il personale sanitario nazionale con un lungo applauso di 10 minuti».

Simone Grassi (Foto di Celeste Arroquy)

La fase 0 per Barcellona, come per Madrid, è stata recentemente prorogata fino a fine maggio. «Non apriranno a breve quindi né bar, né ristoranti (solo take away) – fa sapere Simone Grassi -. L’Italia è ancora lontana. Restano tante domande, ma in fondo sono quelle di tutti. Intanto in terrazza, il nostro piccolo abete di nome Pino, che vive all’ombra di una kenzia, è pieno di germogli verde brillante. Ma lo fa con grande discrezione. O forse indifferenza».

L’abete “Pino”