ANCONA – Quattro anni a Massimo Bianconi, l’ex direttore generale di Banca Marche, 3 anni all’imprenditore barese Davide Degennaro e due anni e otto mesi per l’imprenditore Vittorio Casale. Queste le richieste avanzate oggi dalla Procura al collegio del Tribunale, per lo stralcio del processo parallelo al crac dell’istituto di credito marchigiano, quello per corruzione tra privati. Bianconi e i due imputati sono accusati di presunti scambi di favori in cambio di vantaggi relativi ad un immobile di pregio a Roma, in via Archimede. Vantaggi tramite una società facente capo alla moglie e alla figlia dell’ex dg di Banca Marche.
Dopo la requisitoria dei pm Andrea Laurino, Marco Pucilli e Serena Bizzarri, proseguita per un’ora per ciascun magistrato, c’è stata la richiesta per le pene. Il processo proseguirà con le arringhe delle difese, che hanno sempre respinto le accuse, fissate per il 19, 22 e 29 gennaio. A conclusione di ciò si arriverà alla sentenza. Per la tesi sostenuta dall’accusa, Bianconi avrebbe favorito l’affidamento di linee di credito (tra il 2010 e il 2012) a società facenti capo ai due imprenditori coimputati, ottenendo in cambio vantaggi sull’immobile ai Parioli di Roma mediante l’azienda “Archimede 96” intestata ai famigliari.
Nell’udienza del 1 dicembre scorso, Bianconi aveva parlato per la prima volta nel processo a suo carico sottolineando che non era lui a proporre i finanziamenti. «Le pratiche arrivavano al vice direttore generale – aveva sostenuto – io mi limitavo a firmare». In aula l’ex dg aveva parlato anche di questioni private relative alla consorte, specificando che era già separato da Anna Rita Mattia, da tre anni. «Quattro, cinque mesi prima che arrivassero gli avvisi di garanzia dell’inchiesta», aveva sostenuto Bianconi. Le vicende personali si sono intrecciate con quelle dei crediti concessi da Bm. Secondo l’accusa, Bianconi avrebbe favorito Degennaro e Casale con finanziamenti e anticipazioni Iva in cambio dell’immobile.