JESI – Sono ancora numerosi i pazienti Covid ricoverati all’ospedale Carlo Urbani. Una situazione che ha spinto il sindaco Massimo Bacci a invocare l’intervento immediato dell’Asur Marche per reperire posti letto sul territorio alternativi ai reparti della struttura di via Moro. Una presa di posizione che, sorprendentemente, non è piaciuta al Tribunale per i Diritti del Malato. L’amministrazione, intanto, continua a sollecitare Regione e azienda sanitaria affinché trovino una soluzione, non avendo poteri decisionali in materia.
«Ci fa piacere che il sindaco abbia preso posizione verso l’Asur per richiedere di reperire sul territorio posti letto per pazienti covid, al fine di consentire al Carlo Urbani di “respirare” per non bloccare le altre attività ospedaliere – tuona Pasquale Liguori del TdM -. Peccato, diciamo noi, che si sia accorto solo ora di tale problema, ora che il nostro ospedale si è riempito in ogni dove di pazienti Covid, limitando ormai al minimo tutte le altre attività ambulatorie e chirurgiche con un allungamento sensibile delle liste di attesa, con gravi disagi per i cittadini. Vogliamo ricordare al sindaco che noi, nel lontano 19 ottobre 2020, quando si era avuto sentore di una seconda ondata di Covid e quando il nostro ospedale si stava appena riprendendo dalla prima ondata, facemmo un appello alle istituzioni affinché il Carlo Urbani non diventasse nuovamente una “covideria”, denunciando peraltro che cominciavano allora ad essere ricoverati a Jesi pazienti non del nostro territorio».
Al nostro appello, sostiene sempre Liguori, «il sindaco e la sua amministrazione non dettero il benché minimo segnale di appoggio, lasciandoci, come al solito, soli nel combattere una gestione della sanità che, nel tempo, non ha fatto altro che chiudere strutture ospedaliere senza porsi minimamente il problema che, alla prima pandemia, ci saremmo trovati in grande difficoltà. Allo stato delle cose, chiedere oggi all’Asur di reperire altre strutture sul territorio dove ricoverare i pazienti Covid ci sembra molto tardivo e molto o poco realizzabile se si pensa che tutti gli ospedali della regione sono stracolmi .A nostro avviso, come richiesto a suo tempo, il problema dei ricoveri dei pazienti covid andava affrontato alle prime avvisaglie di una seconda ondata, quello che oggi va fortemente portato avanti è un potenziamento della medicina territoriale: molti pazienti potrebbero essere curati a domicilio ai primi sintomi (una sola USCA con due sole persone in organico), ma soprattutto chiediamo un maggiore coinvolgimento dei medici di medicina generale che sono quelli che dovrebbero fare da filtro con la struttura ospedaliera, recandosi a casa dei pazienti ai primi sintomi, impedendo cosi il peggioramento della malattia che porta poi inevitabilmente al ricovero».