Jesi-Fabriano

Crognaletti, cinque generazioni di conducenti d’impresa

Intervista al giovane imprenditore Daniele Crognaletti, a capo delle omonime autolinee di Jesi e del Tour Operator Esitur. «Il nostro obiettivo, battuta la burocrazia, è far crescere il territorio»

JESI – «La crisi economica? Profondissima, ma ora più semplicemente ritengo che sia cambiato il mondo e non dobbiamo più parlare di crisi, ma di riorganizzazione del mercato». A esporre tale tesi, tanto singolare quanto affascinante, è un imprenditore di appena 33 anni, che ogni giorno gestisce un’ottantina di dipendenti e circa settanta mezzi a motore. E che invita i rappresentanti sindacali a casa sua per parlare di lavoro davanti a una grigliata. A capo di un’azienda attiva dal 1881, Daniele Crognaletti – presidente e amministratore delegato delle Autolinee Crognaletti e amministratore delegato di Esitur – spiega cosa significa essere oggi un conducente d’impresa, tra burocrazia asfissiante e opportunità da costruire con fatica e abnegazione. Gli stessi concetti che la sua famiglia ha applicato nel secolo scorso per tenere in piedi l’azienda. «Durante la seconda guerra mondiale – racconta Crognaletti – il mio nonno è stato costretto a sotterrare gli autobus per evitare che venissero portati via dai tedeschi».

Chi è Daniele Crognaletti?
«Chi sono? Una persona che vuole continuare a dare lavoro sul territorio e incrementare le opportunità occupazionali in Regione, con l’obiettivo di far crescere le mie aziende e, di conseguenza, tutte le altre, collaborando attivamente con la comunità di riferimento. È venuto a mancare un cambio generazionale in azienda, in quanto mio padre è medico, e sono stato costretto a rimboccarmi le maniche e mettermi subito al lavoro, senza terminare ingegneria gestionale a un paio di esami dal termine. Non ho comunque rimpianti, non credo che una laurea possa cambiare qualcosa del mio essere. Anzi, non riuscirei a dedicarmi allo studio e ridurre l’impegno verso i miei dipendenti. Sento l’esigenza di focalizzare gli sforzi in questo settore».

Cosa significa, oggi, essere un imprenditore?
«In poche parole, navigare tra la burocrazia. Ultimamente non facciamo più gli imprenditori per crescere, che invece dovrebbe essere l’obiettivo primario, ma siamo diventati degli “slalomisti speciali” fra gli ostacoli e i paletti piazzati della burocrazia. Purtroppo, questo è un grosso problema per l’Italia. Fingendo per un attimo che essi non esistano, credo che fare l’imprenditore significhi amare il proprio lavoro, la propria attività, lavorare affinché cresca assieme ai suoi lavoratori, alle famiglie e al territorio a cui è legata. Per me è stato più facile visto che, in pratica, ci sono cresciuto fra gli autobus».

Qual è la cosa che le dà più soddisfazione?
«Senza dubbio, dare i premi di risultato. Non credo vi siano soddisfazioni più grandi per un imprenditore. Sapere che si ha la possibilità di rendere felici le persone, premiandole per il lavoro svolto, è molto gratificante».

Crisi economica, il peggio è alle spalle?
«Personalmente credo che inizialmente sia stata una crisi economica, ma poi sia stata una vera riorganizzazione del mercato mondiale. È semplicemente cambiato il mondo. Vivevamo ben oltre le nostre possibilità, tutto andava bene, qualsiasi attività produceva utili. Non era possibile. Il mercato è fatto di alti e bassi, di natura. Invece, tutti stavano benissimo, perché gli scambi commerciali erano sostanzialmente “drogati”. Adesso, forse, siamo tornati alla normalità. Le aziende pertanto devono adattarsi, e compiere enormi sforzi, per continuare a sopravvivere. Non è facile perché, ripeto, eravamo abituati a una crescita esagerata».

Quanto sta influendo il terremoto del centro Italia sul turismo delle Marche?
«Abbastanza. Ora dobbiamo essere bravi a fare squadra con le istituzioni per promuovere le nostre bellezze ed eccellenze. Solo così potremo convincere di nuovo le persone a venire in vacanza nella nostra regione. Il Giappone, ad esempio, fa scuola su questo. Insomma, solo attraverso la collaborazione possiamo lasciarci il sisma alle spalle».

Come vede, invece, il futuro di questo Paese?
«L’Italia sta procedendo a differenti velocità. Nelle regioni in cui è stato investito tanto sul turismo, i visitatori continuano ad arrivare. Ma non tutte si sono mosse in questo modo. Resto convinto che questo settore sia fondamentale per il nostro Paese. Relativamente alle Marche, inutile nascondere l’impatto avuto dal rallentamento del manifatturiero e, ora, dal terremoto. Ma possiamo e dobbiamo rialzarci e ripartire. Ogni volta che vado all’estero non vedo l’ora di tornare nella mia città. Girare il mondo è bellissimo, ma poter tornare nel posto più bello del mondo non ha davvero prezzo. Non sempre riusciamo a cogliere la fortuna di essere nati qui. Chiaramente, è ora di chiudere con i vecchi sistemi, con la burocrazia opprimente. E iniziare a costruire concretamente il futuro».