Jesi-Fabriano

Tragedia del fiume Natisone, è di Cupramontana la psicologa Hanna Farah che supporta le famiglie

Come psicologa dell’emergenza, è stata incaricata dalla Protezione civile di Udine a sostegno delle famiglie dei tre ragazzi inghiottiti dal fiume. «Senza il coinvolgimento emotivo non si riuscirebbe nel compito»

Hanna Farah
La psicologa Hanna Farah in un fotogramma dell'intervista del TG

Come si fa ad aiutare e sostenere i familiari di tre ragazzi uccisi dalla piena killer del fiume Natisone, in provincia di Udine? La domanda l’abbiamo rivolta ad Hanna Farah, psicologa dell’emergenza incaricata dalla Protezione civile di Udine. La tragedia è immane, televisioni e giornali hanno informato in modo esaustivo. E hanno intervistato la psicologa Farah, di Cupramontana, dove abitano i suoi genitori di origine magrebina ma italiani da decenni.

La dottoressa Hanna, come la chiamano tutti, ha quarant’anni, laurea, master, titoli, esperienze. E sopratutto sa convivere con il dolore. L’angoscia, l’attesa, il riconoscimento della salma, la difesa di persone distrutte dall’assalto di fotografi, cameraman e giornalisti. Hanna l’ha fatto, lo fa. È la sua professione.

Psicologa del dolore più che dell’emergenza?
«Sì, e professionalità e scolarità sono componenti primarie del nostro lavoro, ma senza il coinvolgimento emotivo non si riuscirebbe nel compito».

E come stacca, come ricarica le batterie celebrali e cardiache dopo aver vissuto tragedie come questa, con tre ventenni stretti in un ultimo abbraccio prima di essere travolti e uccisi dalla piena improvvisa e killer di un fiume pazzo?
«È difficile, sempre più difficile, lunghe telefonate ai miei genitori che mi raccontano Cupramontana, ai miei fratelli minori anche loro impegnatissimi, Sonia ingegnere biomedico all’ospedale di Jesi, e Amin, designer di successo. Poi c’è il fidanzato, ovviamente. Ma fare shopping è forse la cosa che più mi distende nelle poche pause di lavoro».

E quando pensa di tornare a Cupramontana?
«Manco da due anni e spero di riuscirci questa estate».

Dottoressa Hanna, si può dire che lei e la sua famiglia siete un esempio di ottima integrazione?
«Credo di sì, il merito è dei genitori che sono stati grandi e hanno superato montagne di difficoltà. Ma ci sono riusciti, dando a noi figli un grande esempio». Poi una breve pausa per rispondere al cellulare. «Devo andare, dobbiamo trovare un vestito bianco, da sposa, da mettere per il funerale alla ragazza romena come impone la loro tradizione per giovani non sposate».

Un’ultima domanda dottoressa: non ha fatto mai i nomi dei tre ragazzi, perché?
«Ovviamente conosco generalità e molte altre cose di queste tre vittime, ma per me non hanno nomi, sono vittime come tutti i giovani che muoiono, indipendentemente dalla causa».

Azzardiamo anche l’extremis: crede che Patrizia, Bianca e Cristian potevano essere salvati? Il cellulare era già chiuso e non c’è stata risposta. Non poteva esserci risposta dalla psicologa Hanna. Resta l’immagine dei tre ragazzi abbracciati cercando di resistere alla furia della piena impazzita prima di essere travolti e scomparire, mentre l’inutile corda lanciata dai pompieri non li ha raggiunti. La dottoressa Hanna Farah ha anche il dovere di tenersi dentro dubbi e verità. Lei è una psicologa del dolore. Ed è un compito gravoso.

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