ANCONA – Sarà inaugurata martedì 25 giugno a Roma, la mostra in onore e in memoria di Luigi Bartolini, fortemente voluta dal critico Vittorio Sgarbi. L’incisore di Cupramontana, morto il 16 maggio 1963, a Roma, è considerato uno degli artisti marchigiani più interessanti del panorama novecentesco italiano. Fu lui a scrivere il romanzo ˊLadri di bicicletteˊ, da cui trae spunto l’omonimo film di De Sica.
Ricorrono nel 2024 i sessant’anni dalla scomparsa: da qui, l’idea di una mostra. Progetto, questo abbracciato anche dalla figlia, Luciana, che presiede l’Archivio Luigi Bartolini. La mostra è ospitata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e sarà visitabile dal 25 giugno al 1° settembre 2024.
Segue le esposizioni a lui già dedicate recentemente a Macerata (ai Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi) e Urbino (al Palazzo Ducale). Nato nelle Marche – a Cupra per l’appunto – nel 1892, Bartolini è stato uno dei più importanti incisori dello scorso secolo. Ma forse, a dire il vero, un po’ dimenticato.
Inesauribile sperimentatore, poliedrico ed eclettico, è stato anche pittore e critico d’arte. Ha scritto prose e poesie di notevole valore letterario, tra cui ˊLadri di bicicletteˊ (pubblicato per l’editore romano Polin nel 1946), suo maggior capolavoro, reso immortale da Cesare Zavattini e Vittorio De Sica nella omonima pellicola vincitrice dell’Oscar nel 1948.
Da un’idea di Sgarbi, la mostra è curata da Alessandro Tosi, professore associato di storia dell’arte moderna all’Università di Pisa e Direttore del Museo della Grafica di Pisa – promossa dall’Archivio Luigi Bartolini, prodotta e organizzata da AMIA – Associazione Marchigiana Iniziative Artistiche, con il coordinamento scientifico di Stefano Tonti e Arianna Trifogli, con il sostegno della Fondazione Roma e il patrocinio della Fondazione Marche Cultura.
Bartolini divenne presto punto di riferimento per i giovani artisti e intellettuali a lui contemporanei. Fu sempre animato da un profondo tormento interiore e da una feroce tensione polemica nei confronti della realtà, che riflesse nei suoi lavori in uno stile estremamente poetico, ma inquieto, insistito e a volte brusco.
Attraverso l’osservazione delle sue suggestive acqueforti, l’esposizione alla Gnam di Roma vuole far luce sul punto centrale della riflessione bartoliniana, ossia il processo generativo dell’arte, considerato l’unico momento in cui è possibile il rivelarsi di una verità altra e più profonda, di cui l’artista cercò sempre di farsi portavoce.
«Ci vuole riflessione, meditazione lenta e partecipe, per capire un artista tanto solitario e tanto profondo, che, interpretandolo, non lascia il mondo come lo ha trovato – fa sapere Vittorio Sgarbi – Lo abbiamo rivisto nelle mostre che io ho voluto per lui, con l’amore della figlia Luciana, a Macerata, a Urbino, a Camerino, a Osimo. Le Marche gli hanno restituito quello che lui, nato a Cupramontana, ci ha dato, interpretandole nella loro profonda spiritualità. In quelle terre è il suo spirito – prosegue – Ora, a Roma, la città dove ha lavorato e vissuto, si rivedono finalmente le sue incisioni nella sede più propizia, la Galleria nazionale d’arte moderna».