Il Pianeta è una casa di cui tutti dobbiamo prenderci cura, è evidente che non lo stiamo facendo nel modo giusto. Uomini, animali, piante e insetti sono strettamente collegati eppure gli interessi economici dei primi prendono il sopravvento a scapito della vita di tutti gli altri. Una caratteristica propria dell’essere umano quella di danneggiare la Terra, nonostante ciò comprometta la nostra stessa esistenza. Il documentario “Men of The Forest” realizzato da Alessandro Nicoletti biologo jesino 34 anni e Francesco Menghini regista televisivo, vuole mettere in guardia su quanto sta accadendo nel Borneo Indonesiano con conseguenze per la vita degli esseri umani di tutto il mondo.
«Sono sempre stato affascinato dalla natura – racconta il biologo jesino, recentemente ospite del programma televisivo “Il mondo insieme” di Licia Colò – È stato grazie al mio lavoro che ho conosciuto Francesco e abbiamo deciso di mettere insieme le nostre competenze per realizzare questo documentario: nell’aprile del 2017 siamo andati nel Borneo Indonesiano insieme e abbiamo conosciuto l’associazione “Friends of the National Parks Foundation” e i Dayak People, popolazioni native che combattono con proteste e altre iniziative per difendere le foreste che vengono bruciate per far posto alle piantagioni di palme da olio. Abbiamo quindi deciso di seguire le vite di questi ragazzi che stanno dedicando tutta la loro esistenza a difesa della foresta».
“Men of the forest” vuole sensibilizzare su queste problematiche. Il documentario è in fase di realizzazione, come è possibile sostenere il vostro lavoro?
«Il nostro obiettivo è quello di realizzare un documentario di almeno 50 minuti, con interviste e racconti delle popolazioni che difendono le foreste (keeptheplanet.org). Abbiamo scelto l’orango che è una specie simbolo per veicolare questo messaggio: la sua straordinaria somiglianza con l’uomo, le condizioni in cui vive e muore a causa della deforestazione speriamo sensibilizzino l’opinione pubblica».
Cosa succede nelle foreste del Borneo?
«Vi sono piantagioni intensive di palme da olio, prodotto che serve per la produzione di molti cibi, che non sono originarie di queste terre; vengono dall’Africa quindi sfruttano molto i terreni e le risorse idriche con il rischio, reale ed effettivo, della deforestazione. Le concessioni di palme da olio se messe sulla cartina geografica superano di gran lunga i confini del Borneo stesso, in ballo ci sono interessi da 15miliardi di dollari. Il Borneo vanta le foreste più antiche del mondo, un ecosistema unico e prezioso, ma anche la maggiore deforestazione. Rimboschire spazi come questo significa impiegare milioni di anni, un tempo che se andiamo avanti così non abbiamo».
Un problema lontano da noi geograficamente ma che ci riguarda molto da vicino, non è vero?
«Il rischio di perdere queste foreste è reale, ed è grazie ad esse se abbiamo ossigeno in tutto il mondo, se piove e quindi se i nostri terreni producono. È evidente che le conseguenze di questa deforestazione riguardano tutto il mondo. Senza foreste la vita non è possibile, il clima è connesso a livello globale e molti cambiamenti dipendono dalla deforestazione».
Credi che la difesa dell’ambiente sarà la battaglia che dovranno fare i nostri figli?
«Assolutamente sì. Gli scienziati sono anni che ci mettono in guardia (quest’anno sono stati 15mila gli scienziati che hanno sottoscritto un appello per mettere in guardia sugli effetti negativi dell’uomo per il Pianeta, ndr) non sappiamo quando succederà ma di certo accadrà: se non riduciamo l’impatto dell’uomo sull’ambiente le generazioni future non avranno cibo e rischiano di non avere ossigeno. Basterebbe togliere un po’ di interessi per vivere in maniera più sostenibile».
In Italia contro l’uso dell’olio di palma si è molto discusso tanto che molti produttori lo hanno dovuto sostituire. Le battaglie si vincono quando il primo anello della catena muove il primo passo?
«È vero ma in Italia si è parlato dell’olio di palma per motivi di salute non certo per motivi ambientali. Ritengo invece che sia proprio quest’ultimo il messaggio che deve passare: dobbiamo esortare ogni settore a dire come stanno le cose, sono battaglie alla portata di tutti spesso celate dall’integralismo di un ristretto gruppo di animalisti».
Puoi spiegare meglio cosa intendi?
«Un ristretto gruppo di animalisti integralisti, che purtroppo sono anche i più rumorosi, con le loro azioni soffocano le battaglie ambientali e animaliste legittime come quelle contro gli allevamenti intensivi. Questi personaggi infatti, non hanno né la capacità né le competenze per distinguere il sistema nervoso di un mollusco da quello complesso di un mammifero allevato in condizioni disumane. Il risultato è che molte persone si allontanano anche da messaggi importanti sull’ambiente e sul futuro dell’umanità».