JESI – Dagli anni della crisi economica si è parlato in Italia e in Europa di un “neoruralismo”. Un ritorno alla terra di molti giovani che, con consapevolezza, ripopolano le campagne rendendo sempre più lieve il confine con la realtà urbana.
È anche questo il caso de La fattoria dei sogni di Selena Abatelli. La struttura esiste a Jesi in via Spina da ottobre 2018, ma i lavori proseguono e si fanno già attività con scuole e disabili. Si prevede che sarà tutto pronto per la primavera del 2020, quando verranno ultimati anche l’ingresso e le nuove stalle, di recente portate via dal forte vento. Anche le intemperie di luglio hanno messo infatti a dura prova struttura e animali: la tromba d’aria ha rotto tutti i gazebo e i cavalli erano fuggiti per lo spavento.
All’incubo del maltempo la proprietaria Selena, aiutata dalla madre, contrappone il suo sogno di fattoria inclusiva. Ci ha raccontato come il suo desiderio di quando era bambina di avere un cavallo si sia trasformato negli anni in un luogo reale, dove tutti possono realizzare i propri sogni.
Ecco l’intervista a Selena Abatelli
Che tipo di sogni regala questa fattoria?
«Prima di tutto questa fattoria è il mio sogno di vivere in campagna diventato realtà, unito a quello di aiutare persone in difficoltà. Da anni mi occupo di disabilità e qui ho unito le due cose. Voglio che chiunque venga qui possa vivere una favola, proprio come ho fatto io. Ho messo a disposizione del mondo il mio sogno. Chi viene qui non deve pagare nulla. È un posto inclusivo a tutto tondo, senza barriere architettoniche, fisiche, mentali, sociali, culturali ed economiche».
Come vi sostenete?
«Tramite il volontariato e le donazioni delle persone. Abbiamo gli sponsor, come Santarelli o Andrea Pieralisi che mi fornisce sempre paglia e fieno gratuiti. Proprio grazie a queste forze riesco a non far pagare. Posso farlo perché ho una piccola fattoria e la fortuna di tante persone che mi sostengono, come anche i volontari che mi aiutano con gli animali e il campo. Ed è bello vedere quanti giovani si avvicinano a questo mondo, con una gran voglia di riscoperta».
Sta riuscendo a lavorare in rete?
«Assolutamente sì, sia con le associazioni che con i cittadini. Mi arrivano aiuti da tutt’Italia, la raccolta fondi su Facebook è andata benissimo. L’11 gennaio 2020 al teatro di Pistoia verrà fatto un grande evento di crowdfunding a cui stiamo lavorando già dall’anno scorso. Non siamo ancora ufficialmente aperti, ma è già pieno di associazioni, gente comune, bambini che partecipano e ci sostengono».
Quali attività si fanno e si faranno?
«Viene fatta pet therapy e gallinoterapia. Ho delle galline davvero speciali, alle quali piace stare in braccio ed essere coccolate. C’è poi il progetto europeo Natura e Cultura, finalizzato alla creazione di una libreria all’aperto. Chiunque vorrà potrà venire, prendere un libro e sedersi a leggerlo. Oppure portarlo via e riportarlo una volta finito. Nei laboratori per i bambini, normodotati e non, metto a disposizione materiale didattico, gazebo, tavolini. Si può anche solo venire a giocare col pallone o andare in bici. Tra le mie idee per il futuro c’è anche l’ortoterapia, che permette di fare un orto anche alla persona in carrozzina, appoggiandosi su delle strutture rialzate.
Intanto facciamo anche le cene. In giugno una classe del Liceo Classico di Jesi ha fatto qui la festa di fine anno. È stata anche l’esito del progetto doposcuola: durante l’anno ragazzi e professori venivano a studiare e a fare merenda all’aria aperta. Hanno fatto il giro della fattoria e instaurato un bel rapporto con gli animali. A contatto con la natura hanno lavorato meglio e anche il gruppo classe ne è uscito rafforzato».
Come ha imparato a comunicare con gli animali?
«Semplicemente standoci, dando loro il mio tempo. Ho instaurato un rapporto diretto con ognuno dei miei tre cavalli, giorno per giorno. Sono animali molto empatici ed hanno una grande memoria. È fondamentale creare un rapporto di fiducia, anche perchè vengono da traumi. Pupo ad esempio è il cavallo che ha preso più botte. Ancora oggi è distanziante, ho impiegato ben 2 mesi prima di riuscire a mettergli la cavezza. Ora la associa a un pensiero positivo: sa che poi viene a mangiare l’erba. Ha sofferto tanto e ancora oggi è diffidente, ma con i disabili è meraviglioso e accostante.
Lo stesso per le galline: ne ho prese 4 che avevano 5 mesi. Prima erano stivate nelle gabbie. Le ho portate via dalla sofferenza e oggi sono attaccatissime a me. Ognuna ha un nome e un carattere: Matilde ama stare sulle spalle, Nanà vuole le coccole, Cocò è una chiacchierona, Ginevra è la più tranquilla. Ho anche altre 20 galline, le ho prese che erano ancora pulcini. Si riconoscono perché non hanno il becco tagliato: negli allevamenti lo fanno per impedirgli di rompere le uova o di beccarsi tra loro, ma è innaturale e violento. Le fortunate 20 hanno conosciuto solo il benessere rispetto alle altre 4. I loro nomi (come Stella e Stracciatella) li hanno decisi i bambini che sono stati qui. Sono esseri viventi e i bambini lo sentono. Passo ore nel pollaio. Gli animali mi danno qualcosa che gli esseri umani non mi danno».
Quali altre differenze ci sono tra i suoi animali e quelli degli allevamenti?
«Sia cavalli che galline hanno acqua e cibo sempre disponibili, 24 ore su 24. Nelle grandi aziende invece si tende a dar loro da mangiare solo una volta al giorno, in base alle comodità umane. Il pelo delle mie galline è lucente perché gli do cinque tipi diversi di mangime e sono sempre all’aperto.
La differenza si vede molto bene con i cavalli: quelli destinati all’equitazione e alle passeggiate sono spesso maltrattati dai domatori. A meno che non si adotti il metodo Parelli, basato su comunicazione e fiducia. Ma si tratta comunque di cavalli che verranno mandati al macello, cosa che per i miei due cavalli e il mini pony non accadrà mai. Li ho fatti passare come animali da compagnia, non potranno mai essere macellati. Possono essere soppressi solo se stanno molto male, o in punto di morte. E se avessero problemi di salute potrei medicarli. I cavalli macellabili invece non sono curabili proprio perché saranno mangiati. C’è un grosso mercato dietro».
La sua è una vita divisa tra campagna e città. Non c’è un confine netto tra i due ambienti…
«Mi divido tra le due. La mia giornata tipo prevede prima le attività in fattoria, la mattina; nel pomeriggio invece lavoro in uno studio dentistico e la sera metto la “maschera” della presentatrice di serate. Passo “dalle stalle alle stelle”, ma tra tutti i mondi preferisco senza dubbio la campagna.
Qui tutto si ferma, non c’è frenesia, non ho né orologio né telefono. Devi stare ai tempi degli animali, solo dopo viene tutto il resto. Ma questo è anche un posto pulito. Nel posto più sporco come potrebbe essere una stalla si riscoprono sentimenti più puri. Diversamente accade in altri ambienti cittadini in cui vivo e lavoro».
Si parla da circa un decennio di un “ritorno alla terra” dei giovani italiani. Lo è stato anche per lei?
«Sì, è stato un ritorno anche per me. Mio babbo viveva in campagna. Io sono nata in città, ma ho sempre avuto la passione per la natura e gli animali. Poi, tramite gli aiuti alle vittime del sisma, attività che ho fatto per tre anni, ho iniziato a dare una mano a una famiglia terremotata che aveva un’azienda agricola. Da lì ho riscoperto la passione per la campagna e gli animali. Alle 6 e mezzo stavo a mungere, li aiutavo ad aprire le stalle e a portare fuori le pecore. È iniziata per me una nuova vita. La fattoria per me è il paradiso».