JESI – «Il disagio giovanile? È un grido d’aiuto che noi dobbiamo ascoltare». Don Gerardo Diglio, parroco a Jesi di San Massimiliano Kolbe dal 2017, non vede solo cattiveria nei gesti a volte sconsiderati dei giovani, ma si sforza di guardare oltre e capire cosa vi sia dietro atteggiamenti sbagliati additati dalla società civile come «atti vandalici» o «bullismo». Coadiuvato dal recente arrivo di don Paolo Tomassetti (vice parroco dal settembre 2021), il sacerdote ha restituito nuova vita al preesistente Oratorio parrocchiale, trasformandolo in un luogo di aggregazione costruttivo, di incontro e di condivisione.
«Stiamo facendo tanti, davvero tanti sforzi per creare un ambiente accogliente per questi ragazzi, anche per quelli che sembrano allo sbando, seguendo gli insegnamenti di don Bosco a cui abbiamo anche intitolato l’oratorio. Quando qualcuno addita i nostri ragazzi come responsabili di schiamazzi notturni o di altri atti che possano recare fastidio alla collettività bisogna essere cauti. Gli spazi dell’Oratorio, sia interni che esterni, sono dotati di impianti di videosorveglianza, e se capita qualcosa possiamo subito verificarlo. Quel che accade però nel parco qui davanti (indica il parco pubblico di via Mazzola, ndr) non possiamo saperlo…».
Un episodio che lascia perplesso don Gerardo, accaduto qualche weekend fa: ragazzi scalmanati che hanno fatto chiasso fino a tardi, tanto che i residenti – temendo che fossero ubriachi – si sono indispettiti.
«Non è accaduto nei locali parrocchiali o dell’oratorio, né sotto al porticato dietro la chiesa – specifica don Gerardo -, ne sono certo poiché ho controllato tutte le spycam (che in alcune occasioni, a fronte di problemi nel quartiere sono state anche messe a disposizione dei Carabinieri o delle forze dell’ordine). Forse il baccano lamentato da alcuni residenti è stato prodotto nel giardino di fronte alla chiesa, che per comodità viene chiamato “dell’oratorio”, ma in realtà è uno spazio pubblico a disposizione degli abitanti del quartiere. I ragazzi che quel sabato sera hanno sostato negli spazi esterni dell’oratorio, con una piccola cassa collegata ai cellulari per sentire la musica e cantare, sono rimasti qui fino alle 23,30 sotto al gazebo esterno. Hanno riso e cantato, ma poi se ne sono andati via, senza far danni».
Quanti ragazzi frequentano quotidianamente l’oratorio?
«Generalmente una ventina dai 13 ai 20 anni. Creiamo loro un ambiente accogliente per ascoltare musica, giocare alla Play, a biliardo e biliardino, calcio. Lasciamo che siano loro a organizzare settimanalmente i tornei, in piena autogestione sebbene sotto la nostra supervisione».
Non solo ragazzi però…?
«In effetti no. Da quando i locali della ex circoscrizione sono stati adibiti a hub vaccinale, gli anziani frequentatori non hanno più un posto dove giocare a carte. Dunque, sono venuti da noi: sono dai 15 ai 30, tutti del quartiere, che vengono in Oratorio per giocare a carte».
Come è andato l’incontro generazionale?
«Bene direi… dopo una iniziale diffidenza in cui reciprocamente si sono studiati, c’è stato un torneo di briscola e tresette che ha contribuito positivamente al successo dell’esperimento. Ora nell’oratorio ci sono diverse generazioni a confronto che giocano insieme e coesistono nello stesso ambiente».
Quali iniziative avete messo in campo per i ragazzi?
«Esiste un servizio doposcuola di aiuto compiti curato da insegnanti in pensione e studenti delle superiori. Inoltre, a ridosso della cresima, i ragazzi iniziano a sperimentare alcune attività di servizio come assistenti al Grest (acronimo di Gruppo Estivo), come aiutanti catechisti e per l’organizzazione e l’animazione di alcuni laboratori specifici che si tengono durante l’anno. Tutto rivolto ai più piccoli. C’è anche una Messa domenicale alle 21, che è animata e partecipata dai giovani stessi, durante tutto il periodo invernale, da ottobre fino a maggio. È il loro appuntamento col Signore. Dal 2021 il nostro oratorio è inclusivo, grazie anche alla collaborazione con Anffas (Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale) per i laboratori creativi e i tornei».
Dunque un’accoglienza inclusiva?
«Esattamente, solo che non facciamo accoglienza solo per il disagio psicofisico o intellettivo, ma anche per quello psicologico che spesso sfocia in comportamenti borderline come atti vandalici e bullismo. Per questo stiamo mettendo in piedi un progetto insieme allo psicoterapeuta Marco Ceppi».
Di che si tratta?
«Vogliamo far nascere qui a San Massimiliano Kolbe un Centro per l’Ascolto del disagio giovanile, dove anche le baby gang o i ragazzi additati dalla società come bulli possano trovare un luogo di ascolto alle loro problematiche, a quei dubbi e quei dolori personali che sfociano in aggressività. Perché un bullo o un vandalo è un ragazzo che con quel comportamento sbagliato cerca di gridare il suo disagio e di avere attenzione».
Come state portando avanti questo ambizioso progetto?
«Al momento stiamo facendo formazione per riconoscere il disagio e creare situazioni dinamiche positive per interagire e intervenire. Se riusciamo a portare via dalla strada i ragazzi e dare loro uno spazio dove giocare insieme ai nostri giovani, abbiamo già vinto».
I fenomeni delle baby gang e della devianza giovanile si stanno moltiplicando un po’ ovunque: come legge questo fenomeno?
«Come un esasperato grido di aiuto dei nostri ragazzi che, tra la disgregazione delle famiglie, la pandemia e la solitudine generata dagli apparecchi digitali, hanno perso molti punti di riferimento. Dietro ogni azione c’è una storia che va individuata e capita. Il clima di paura e, allarmismo in cui viviamo, contribuisce ad alimentare le paure e le solitudini. Molte famiglie sono disgregate, i ragazzini anche piccoli a volte diventano ostaggi delle guerre tra ex coniugi che perdono così di vista i loro bisogni. Il mondo virtuale diventa un rifugio effimero, così come contribuisce a far perdere il senso del rischio: nei videogames se muori hai un’altra vita per andare avanti al livello successivo, tanti ragazzi pensano che anche la loro vita sia come un gioco. Ecco, credo che la quinta ondata della pandemia sia quella psicologica in cui dovremo fare i conti con le conseguenze drammatiche di questo virus e della sua gestione. Non possiamo restare indifferenti… anche a costo di andarcele a cercare».