BERGAMO – Si è aperto martedì 17 settembre a Bergamo, presso la sede di Ubi, il tavolo di confronto tra i vertici della banca ed i sindacati in merito all’avvio di un processo di esternalizzazione con cui trasferire i rami d’azienda di Ubi Sistemi e Servizi (Ubiss) alle società BCube e Accenture. Un progetto fortemente contestato dai sindacati: il 13 settembre hanno mobilitato centinaia di lavoratori in presidi ed assemblee in varie piazze nazionali, a cominciare dalle otto città interessate dal processo di cessione e, tra esse, Jesi e Pesaro.
Il progetto Ubi prevede, in particolare, la cessione a BCube delle attività di archivio “Servizi Supporto Archivi”, svolte al momento sulla piazza di Jesi, e le attività di Casellario e Spedizioni attualmente effettuate dalle piazze di Milano, Bergamo e Brescia. Ad Accenture, invece, vengono date le attività di Cassa Centrale (ora a Chieti), le attività di Assegni e attività Bonifici (ora a Cuneo), le attività di Corporate Banking Interbancario, attività Tributi e Previdenza, le attività Gestione Carte e quelle di Attivazione e Cancellazione (ora a Pesaro), le attività di Trasferimento Servizi di Pagamento (ora a Bari). In totale si tratta di 86 dipendenti ceduti ad Accenture più 37 in distacco e di 16 dipendenti ceduti a BCube più 58 in distacco.
L’incontro a Bergamo si è tenuto alla presenza di Mario Napoli e di Andrea Merenda, rispettivamente responsabili delle risorse umane e delle relazioni sindacali del gruppo Ubi, del vice direttore generale Elvio Sonnino, e del coordinamento dei sindacati in Ubi, con le sigle Fabi First-Cisl Fisac-Cgil Uilca-Uil Unisin. Ne riferisce una nota unitaria dei sindacati, in cui si legge che «è utile il confronto ma la preoccupazione resta alta». Nel comunicato si legge che la banca, interpellata sulle ragioni del progetto di esternalizzazione, «ha evidenziato come il piano industriale del 2017 di acquisizione delle tre Bridge Banks (Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti, ndr), trimestralmente monitorato dalle istituzioni europee preposte, che l’hanno approvato a suo tempo insieme al Governo, fissa un numero massimo di filiali e di dipendenti del gruppo a fine 2020. Questo scenario ha portato UBI, dopo aver pre-pensionato circa 2.400 colleghi, a decidere di attivare ora questa infausta leva». Riferiscono ancora i sindacati che alla domanda «possiamo escludere altre operazioni di esternalizzazione nell’annunciato aggiornamento del Piano Industriale?» la Banca ha risposto: «in questo momento non si può escludere nulla». Questo il motivo per cui le organizzazioni sindacali invitano i lavoratori Ubi a «mantenere alta la guardia seguendo passo passo l’evolversi della situazione».
Per evitare che l’azienda eluda l’impegno assunto di gestire i processi di riduzione d’organico mediante soluzioni interne al gruppo, al tavolo della trattativa i sindacati hanno chiesto che il percorso di realizzazione del Piano Industriale (per ciò che riguarda il numero dei dipendenti sino al 31 dicembre 2020) debba sottostare al vaglio anche dei sindacati, oltre che delle istituzioni europee preposte. Con riferimento alla trattativa, che è entrata nel vivo dal 19 settembre, le OO. SS. hanno dichiarato con fermezza che «ogni soluzione dovrà attuarsi nel solco del contratto collettivo nazionale di lavoro oltre che dare le massime tutele economiche, normative e occupazionali».
Interpellata sul tema, Ubi Banca ribadisce che «le operazioni di trasferimento dei rami d’azienda non comportano alcuna perdita di posti di lavoro né modifiche significative delle condizioni di lavoro. Il Gruppo UBI conferma altresì la tradizione di relazioni industriali improntate al dialogo continuo e costruttivo, dando piena disponibilità a ricercare tutte le soluzioni che tengano conto anche delle esigenze del personale coinvolto».