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Fabriano e Calcata, le “Viae Crucum” del critico d’arte Giuseppe Salerno

Nel suo ultimo libro il curatore fabrianese esplora il percorso unico dell’odissea artistica che ha riportato in vita prima il borgo abbandonato di Calcata, e poi alla ricerca dell’anima artistica della città di Fabriano

FABRIANO – Nel suo più recente saggio letterario, “Viae Crucum, con l’arte incontro ai luoghi” (edizioni Bertoni) il critico d’arte Giuseppe Salerno paragona le sue due più grandi passioni artistiche, Calcata e Fabriano, al percorso doloroso di Gesù Cristo che si avvia alla crocifissione sul Golgota. Tuttavia, per comprenderne appieno il significato, è necessario scrutare le cause tra le righe, decifrare i passaggi brevi del libro e comprendere le realtà di cui parla, poiché Salerno, con la sua raffinatezza o forse per una disposizione naturale, sceglie di non esplicitarle apertamente. Solo coloro che hanno ardenti passioni, l’arte in questo caso, possono concepire l’idea di dedicarsi anima e corpo a un cammino di vita volto a svelare ciò che Arthur Schopenhauer definiva “il velo di Maya” – la benda che oscura la visione dell’anima, impedendole di risvegliarsi dalla sua sonnolenta ignoranza – e comprendere quanto sia doloroso salire alle vette della bellezza e subito dopo sprofondare nella mediocrità e nelle delusioni del mondo terreno. Ma così come la via crucis di Cristo culmina con la sua morte, è altrettanto vero che ne segue la resurrezione. Ma procediamo con ordine.

IL BORGO CHE DOVEVA MORIRE

La prima parte di “Viae Crucum” descrive come l’avventura artistica avviata da Giuseppe e da un gruppo di liberi sognatori dal 1983 al 1997 abbia resuscitato il piccolo borgo abbandonato di Calcata: un gioiello di architettura medievale edificato su rupe tufica in provincia di Viterbo e condannato a morire per legge. Utopia? No, è il sorprendente risultato di impegno, entusiasmo, visione chiara e disobbedienza civile collettiva, un gruppo di anime nobili – troppo numerosi per essere elencati senza ingiustizie – unite da affinità elettive. Attraverso mostre d’arte, performance, abile comunicazione e marketing, sono riusciti a restituire vita a un luogo dimenticato, collaborando con amministrazioni locali, enti e privati. Oggi, nel centro storico di Calcata, sorgono bar, bed & breakfast e ben undici ristoranti (dati Google), che soddisfano le esigenze di un flusso costante e appassionato di turisti. È stata davvero una resurrezione straordinaria.

LA CITTA’ DELLA CARTA

La seconda parte del libro è altrettanto affascinante, forse ancor di più perché coinvolge direttamente noi tutti. Qui, Salerno narra l’esperienza vissuta a Fabriano, città in cui si trasferisce nel 2011 insieme alla sua compagna e artista, Lughia. Questa esperienza culmina con il successo dell’evento “PaperSymphony” un progetto pluriennale sostenuto dal Rotary, dall’Amministrazione Comunale e dalle Città Creative dell’Unesco. Questo progetto, coinvolgendo le arti, mira a consolidare un’identità locale che sia in sintonia con l’immagine universalmente riconosciuta di “città della carta.”

Dalle pagine del libro emergono le riflessioni dell’autore al suo primo incontro con Fabriano: “…l’immagine tanto accreditata di Città della Carta non traspare. Non ci sono laboratori accessibili al visitatore, né artigiani che mettono in mostra le proprie realizzazioni. Non vi sono negozi super specializzati, nessuna manifestazione di settore, non una fiera del libro. A fronte dell’immagine conosciuta nel mondo, la città non ha un’identità ad essa collegata. Unica eccezione il Museo della Carta e della Filigrana”. Lo stesso destino sembra toccare al fiume Giano, protagonista nell’epoca d’oro delle cartiere, ora nascosto agli occhi dei cittadini e dei turisti da lastre di cemento, quasi a sancire una completa dimenticanza storica, forse dovuta agli anni di benessere economico che oggi rivelano le loro criticità. Giuseppe Salerno inizia a scavare nel passato di Fabriano, nelle sue radici legate alla carta, creando una serie di eventi, mostre, rassegne e collettive, talvolta portate fuori dalla città. Particolarmente significativa è la collaborazione con Anna Massinissa dell’associazione In Arte, con cui ha contribuito a ristabilire il legame tra gli artisti e la loro città, proponendo progetti che vanno oltre gli eventi, alzando il livello di sensibilità ben al di là dell’orizzonte alto delle montagne circostanti.

VIA CRUCIS O RESURREZIONE?

Una comunità che non ascolta la storia, i cuori ed il paesaggio non valorizza i suoi caratteri distintivi, non cura l’unicità e, priva di identità, soccombe al futuro. Se Calcata rappresenta la resurrezione al termine del cammino di Giuseppe Salerno, Fabriano si trova ora in quale parte di questo percorso? “Viae Crucum” offre l’opportunità di riflettere sulla funzione dell’arte come strumento per ridefinire l’identità dei luoghi, mostrando come sia possibile attrarre il turismo attraverso strategie che possano realmente essere un motore per lo sviluppo territoriale, al di là delle vuote formule politiche spesso prive di budget. È uno stimolo a considerare l’arte come un sistema che esprime le individualità degli artisti, rappresentando e contribuendo al territorio, anziché come singoli eventi isolati, spesso capaci di bruciare solo fondi pubblici senza lasciare nulla alla città. «Organizzo mostre per il solo piacere di farlo. Ho un ottimo lavoro che oltre a farmi vivere dignitosamente mi consente di dedicare tempo e denaro a ciò che più mi appassiona. Non traggo profitto da questa mia passione. Mi piace incoraggiare persone nelle quali credo e intervengo anche economicamente qualora ciò possa dare serenità ed aprire prospettive per chi ne ha bisogno. Detesto però gli sfruttatori, sempre pronti a prendere, mai a dare. A volte non li riconosco per tempo. Del successo altrui godo e mi sento stimolato a fare sempre di più e meglio. Invidia ed avarizia sono i peccati degli stupidi, di quanti sono incapaci di costruire una propria esistenza in piena autonomia». Con queste parole, Giuseppe Salerno ci offre una preziosa lezione sull’arte, sulla passione e sulla vita stessa. Grazie, Giuseppe Salerno.

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