Jesi-Fabriano

Jesi, Federico II è tornato o no dopo la nascita? Un nuovo studio dice di sì

Il ritorno nella città dove era nato dello Stupor Mundi, ritratto sul sipario del Pergolesi, è ritenuto fantasia leggendaria. Ma una pubblicazione di Ettore Baldetti ricostruisce, dall'ascolano a Macerata e Barbara, l'itinerario dello Svevo nel 1240

Visita a Jesi di Federico II nel sipario del Teatro ‘Pergolesi’(foto di Elisa Tomassini, particolare);

JESI – Nella pubblicazione “Federico II Hohenstaufen di Svevia. La nascita a Jesi e il transito nelle Marche del terzo imperatore venuto ‘di Soave’ (Par. III, 119)” di Ettore Baldetti, deputato della Deputazione di Storia Patria per le Marche, apparsa in questi giorni e distribuita dalla libreria UBIK di Senigallia, si documenta il passaggio dell’imperatore nelle Marche e nella terra natale agli inizi di agosto del 1240, giudicato leggendario fino ad oggi. Lo studio, recentemente apparso nella rivista storica “Marca/Marche”, 22 (2024), e riedito in una monografia arricchita di prefazione e appendice documentaria, è il frutto di ulteriori deduzioni sul testo di una conferenza nel Palazzo della Signoria di Jesi dedicata alla nascita dell’imperatore, allestita nel marzo scorso dalla locale fondazione “Federico II Hohenstaufen” nell’ambito di un gemellaggio con altre città federiciane.

L’innovativa acquisizione è tratta dalla rilettura della lettere federiciane già edite nel 1859, dove si legge che agli inizi di agosto 1240 Federico II, entrato tramite l’Ascolano nella Marca d’Ancona pontificia, all’incirca le attuali Marche, al fine di punire il papa che lo aveva scomunicato per la seconda volta e di dirigersi verso la Romagna per sottomettere Ravenna, passando attraverso una trafila di centri assoggettati o alleati, lasciò l’assedio di Fermo per giungere alla meta il 15 agosto. Le città delle Marche fedeli a Federico II, anche per l’azione del figlio Enzo, re di Sardegna e vicario imperiale nella Marca, erano Macerata, Jesi, Cagli e Urbino, e il tragitto più breve bypassante Ancona, città leader dei papalini, passava per Macerata e Jesi, punti d’arrivo di due tappe di circa 35 km, percorribili dall’esercito in un giorno ognuna. La marcia transitava poi nella zona del piccolo comune di Barbara, oggetto di un’incursione federiciana altrimenti quasi inspiegabile, per giungere quindi probabilmente nel castello filoimperiale di Montesecco di Arcevia, aggirando il potente comune di San Lorenzo in Campo, sede di uno dei tre vicariati della Marca, tribunali pontifici zonali, e lambire il Cagliese in direzione di Urbino.

Federico II in trono in un sigillo di una lettera del 1240 (Cagli, Archivio storico comunale).

Grazie a questo lavoro vengono in parte riabilitate delle testimonianze jesine, considerate delle fantasie popolari e riferite alla visita dell’imperatore in città ̶ denominata in una lettera del 1239 la “mia Betlemme” ̶ tramandata da autori posteriori senza prove e idealizzata da un pittore ottocentesco nel sipario del Teatro ‘Pergolesi’. Al passaggio dell’esercito imperiale si riferiva poi probabilmente il toponimo “Passo dell’Imperatore” situato sull’Esino verso Macerata e forse una strada del centro storico già definita ‘Regale’, cioè la più nobile.

Da reinterpretare rispetto alla versione predominante sono i famosi versi danteschi dedicati al contestato e memorabile parto jesino della quarantenne Costanza d’Altavilla, moglie dell’imperatore Enrico VI, che avrebbe dato alla luce l’erede al trono del Sacro Romano Impero e del Regno di Sicilia, mentre a Jesi si vociferava in quegli stessi anni che fosse in realtà il figlio di un macellaio locale: «Quest’è la luce de la gran Costanza | che del secondo vento di Soave | generò ’l terzo e l’ultima possanza (Par. III, 118-120)», ossia il terzo e ultimo imperatore svevo.

A tale proposito, la suggestiva interpretazione lirica, conferita dalla vulgata manualistica al termine ‘vento’ come fenomeno atmosferico, lascerebbe presupporre un improbabile errore dantesco sulla successione degli imperatori svevi, utilizzata quotidianamente nelle datazioni degli atti notarili, in quanto il figlio di Costanza, cioè Federico II, non era il terzo imperatore ‘di Soave’ ovvero ‘di Svevia’, bensì il quarto. Tutto si spiegherebbe invece se, pur mantenendo l’affascinante valenza semantica meteorica in senso metaforico, per ‘vento’ si intende – secondo quanto segnalava già il docente bolognese di storia medievale Ovidio Capitani nel 1970 come ipotesi alternativa – una contrazione da ‘venuto’, con la ricorrente caduta della vocale postonica, oppure un prestito dal participio passato del latino venire, perché l’imperatore Corrado III, primo degli svevi e zio paterno di Federico I Barbarossa, non venne mai in Italia