JESI – 1,5 milioni di telespettatori hanno seguito ieri sera su Rai 3 l’inchiesta di Report sugli allevamenti intensivi e bio della Fileni. Nell’appuntamento condotto da Sigfrido Ranucci, l’inchiesta “Che polli” di Giulia Innocenzi con la collaborazione di Greta Orsi e Giulia Sabella ha acceso un faro su come vengono allevati i polli in quella che è considerata un’eccellenza del comparto degli allevamenti biologici, e che ha ricevuto anche la certificazione B CORP per gli elevati standard di trasparenza e sostenibilità. L’inchiesta si è concentrata su alcuni allevamenti biologici del colosso marchigiano delle carni avicole, tra essi gli stabilimenti di Jesi Cannuccia, Falconara Marittima e Ostra Vetere, e l’allevamento di Monteroberto chiuso lo scorso dicembre su sentenza del Consiglio di Stato per problemi di natura autorizzativa.
Con immagini molto crude e video realizzati in collaborazione con l’associazione ambientalista Lav, sono stati mostrati animali cresciuti non all’aperto (un pollo bio per legge deve razzolare all’aperto per almeno un terzo della sua vita). Oltre a questo, nei video sono apparsi mangimi Ogm, nonostante l’azienda dichiari di essere Ogm-free, possibili maltrattamenti sugli animali tra cui illuminazione artificiale forzata h24 per farli crescere più in fretta, e uccisioni con pratiche illegali tra cui la torsione del collo.
Netta la replica del Gruppo Fileni. «Ieri sera – si legge in una nota stampa – abbiamo seguito la trasmissione Report che ha messo in discussione il nostro operato. Siamo dispiaciuti per le modalità con cui sono stati rappresentati molti aspetti che avrebbero dovuto essere spiegati e raccontati dal servizio in modo più bilanciato, ascoltando anche le nostre ragioni. Teniamo a ribadire che tutto ciò che dichiariamo BIO è BIO, ciò che dichiariamo SENZA OGM è SENZA OGM, ciò che dichiariamo allevato all’aperto è allevato all’aperto. Come sempre, siamo pronti a recepire, laddove ci siano, elementi di miglioramento e intervenire su singoli episodi di comportamento che non riflettono la nostra cultura aziendale, a partire dal benessere animale».
Il servizio di Report
Il servizio di Report è andato in onda lunedì 9 gennaio alle 21.25 su Rai 3 ed è possibile rivederlo su Rai Play. «Il pollo – ha esordito il conduttore di Report, Sigfrido Ranucci – è l’animale più sfruttato del pianeta. Ne alleviamo 26 miliardi ogni anno, ogni giorno ne vengono macellati 71 milioni. 824 macellati al secondo. In Italia ne alleviamo 500 milioni nei nostri allevamenti intensivi. Ne produciamo più di quanti ne avremmo bisogno perché non ci basta un pollo solo, ce ne vogliono tanti perché scegliamo la coscia, la sovra-coscia, le ali e soprattutto il petto. Questo ha comportato una deformazione all’interno dei nostro allevamenti che sfiora quasi la manipolazione genetica, è stato selezionato un pollo che ha un petto enorme al punto che fatica a stare in piedi, ma ha il pregio di crescere in fretta e arriva in fretta al mattatoio».
«La maggioranza dei polli allevati – ha proseguito Ranucci – cresce negli allevamenti intensivi, che secondo gli scienziati sono l’incubatoio dove potrebbe svilupparsi la prossima pandemia. Cosa stiamo facendo per evitare nuovi pericolosi virus? E come sono gli allevamenti in Italia? E quelli biologici? Come sono allevati quei polli? Le strutture che li ospitano sono conformi? E chi controlla che tutto venga fatto nel rispetto rigoroso della legge?». Parte da queste domande il servizio di Giulia Innocenzi, una indagine a più voci che ha interpellato, tra gli altri, il governatore delle Marche, Francesco Acquaroli, Alberto Tibaldi, direttore Funzione veterinaria e sicurezza alimentare di Asur Marche, e Andrea Tesei che con il Comitato della Vallesina sta conducendo una importante battaglia sulle presunte irregolarità di alcuni allevamenti Fileni, in primis quello di Monteroberto.
Fileni dichiara che il 33% delle superfici dei propri allevamenti è bio, ma stando a quanto denunciato da Report sarebbe al massimo solo l’11%. Grazie a telecamere poste fuori da alcuni stabilimenti, è stato notato che gli animali non vengono lasciati liberi per un terzo della loro vita ma vengono rinchiusi in capannoni ad illuminazione artificiale per farli ingrassare e arrivare al macello. Sulle etichette del mangime attaccato al silos di un allevamento ripreso dal programma, sono state notate chiare scritte di prodotti Ogm. Alcuni operai, inoltre, maltratterebbero gli animali: polli malati uccisi sotto i piedi o tirandogli il collo, agonizzanti.
La replica dell’azienda Fileni
L’azienda ha risposto venerdì 9 gennaio alle ore 18.18 alla redazione di Report con un articolato dossier di 12 pagine, disponibile sul sito della trasmissione. «Le domande delle quali leggerete la nostra risposta in questo approfondimento ci sono state poste dalla redazione di Report solo mercoledì 4 gennaio alle ore 18:55 con richiesta di restituzione entro le ore 10 di venerdì 6 gennaio», fa sapere l’azienda in un sito appositamente dedicato per confutare, punto su punto, tutte le accuse. Vi invitiamo a leggerlo, al link parlanoifatti.fileni.it.
È falso, secondo l’azienda, che nel capannone mostrato dalla Innocenzi i polli vivano al chiuso, falso che i prodotti a marchio Fileni siano alimentati con mangimi Ogm («tutti i prodotti commercializzati a marchio Fileni sono privi di componenti OGM, come indicato nel Bilancio di Sostenibilità»), falso che negli stabilimenti ci siano abbattimenti arbitrari degli animali. Quanto alla pratica della «dislocazione cervicale del collo», essa «è legale» e «viene applicata nei casi di animali malati o sofferenti, che vengono soppressi dagli addetti dei singoli allevamenti».
Oggi, la Fileni ha inviato anche una nota stampa, in cui ricorda «chi siamo, cosa facciamo e qual è, da sempre, il nostro approccio».
«Siamo nati circa 60 anni fa – si legge nel comunicato – dalla visione di Giovanni Fileni, che aprì il primo allevamento a Jesi. Da allora siamo diventati il terzo player nazionale nel settore delle carni avicole e il primo produttore in Italia di carni bianche da agricoltura biologica, con un percorso di crescita da sempre improntato al rispetto delle persone, degli animali, dell’ambiente e del territorio, occupando oggi circa 3.500 persone tra dipendenti e indotto sul territorio nazionale, di cui la quasi totalità nelle Marche». La nostra Azienda è cresciuta in Vallesina, da sempre luogo di allevamenti da reddito, dove abbiamo riconvertito o ampliato vecchie fattorie già dedicate a polli, a suini o a bovini, riducendo al minimo il “consumo di suolo”. In questo senso, siamo stati antesignani di quella che oggi viene definita sostenibilità. Questo percorso ci ha portato ad affiancare alla produzione convenzionale, sin dal 2000, la più importante linea di carni biologiche in Italia, prima con marchi diversi da Fileni e nel 2014, con la linea Fileni BIO (registrato a livello UE), che oggi può contare su oltre il 30% dei ricoveri destinati all’allevamento della nostra filiera. Una scelta volta non solo a garantire la massima condizione di benessere degli animali, ma anche un altrettanto prioritario impatto positivo sul territorio e sull’ambiente».
«Climate Neutral (scope 2) sin dal 2020 con la compensazione di tutte le emissioni dirette del Gruppo, nel 2021 abbiamo raggiunto un’altra tappa importante con la trasformazione in Società Benefit, la firma del Climate Pledge con l’obiettivo di azzerare le emissioni nette totali entro il 2040 e la sottoscrizione, come prima Azienda italiana, dello European Chicken Commitment (ECC), una serie di standard concordati a livello europeo riguardanti il benessere animale. Nel 2022, poi, siamo diventati la prima azienda B Corp al mondo nel suo settore. Questa è oggi la nostra realtà come Gruppo Fileni, la nostra filosofia e il nostro modo di fare Azienda».
La lettera aperta della LAV Lega Anti Vivisezione Italia
Sempre oggi, all’indomani della trasmissione, si è fatta sentire anche la Lav, l’associazione ambientalista che ha collaborato con il servizio fornendo, tra l’altro, parte delle immagini riprese negli stabilimenti. Si tratta di una lettera aperta ai vertici dell’azienda, con domande dirette all’azienda per avere informazioni sulle modalità di tutela degli animali nei loro allevamenti.
Scrive la Lav: «L’inchiesta di Report, appena andata in onda su Rai Tre, mette ancora una volta in luce le gravi problematiche del sistema zootecnico, che produce miliardi di animali ogni anno, con 533 milioni di polli macellati solo in Italia nel 2021 (fonte Banca Dati Nazionale). Dall’inchiesta emergono degli interrogativi su cui chiediamo chiarimenti ad uno dei gruppi più grandi in Italia nel mercato della carne di pollo, conosciuto soprattutto per la produzione biologica. Circa il 98% dei polli allevati in Italia per la loro carne è della razza broiler, appositamente selezionata e modificata geneticamente negli anni per sviluppare enormemente e in tempi record le parti del corpo più richieste dal mercato. La sofferenza di questi animali è tangibile. Le immagini che abbiamo visto su Report mostrano senza filtri ciò che accade all’interno dei capannoni negli allevamenti. Vivere ammassati in capannoni, spesso bloccati e costretti a terra sulle proprie feci perché non in grado di alzarsi, non può essere considerata una vita. Ma tutto questo è noto ai consumatori? Assolutamente no, perché crediamo che nessuno acquisterebbe – per salute? per dignità degli animali? per etica? – un pollo che ha vissuto così miseramente».
Prosegue la Lega antivivisezione: «Altro dato interessante che emerge dall’inchiesta di Report è: i controlli dei servizi pubblici veterinari, essenziali, sono sufficienti? Probabilmente no, soprattutto considerato che – come spesso accade – vengono concordati con le aziende senza verifiche dettagliate sulla salute di tutti gli animali coinvolti. Una soluzione, noi di LAV l’abbiamo trovata: ciascuno di noi può contribuire a mettere fine definitivamente alla sofferenza dei polli, scegliendo fin da subito di lasciare la carne di questi animali appena nati fuori dal proprio piatto, al di là di una narrazione pubblicitaria che garantisce prodotti “naturali” e “buoni”, salvo poi scoprire che di naturale, per gli animali che muoiono a 4 settimane con malformazioni fisiche, c’è ben poco».