Francesca Garolla, milanese, è una delle figure emergenti del teatro contemporaneo. Autrice, dramaturg, attrice, interprete, regista, il suo percorso d’artista è molto articolato, con importanti esperienze in Italia e all’estero. A Jesi, il suo nome si lega a quello di Valeria Moriconi, ed al Premio ad essa intitolato. Lo scorso anno, infatti – era il 2 agosto – sul palcoscenico di Piazza Federico II, ha ricevuto dalle mani dell’assessore alla cultura Luca Brecciaroli il premio “Valeria Moriconi. Futuro della scena 2022”. Il riconoscimento le è stato assegnato nell’ambito di una cerimonia che ha visto premiata anche Ottavia Piccolo, con il Premio “Valeria Moriconi. Protagonista della scena”, riconoscimento assegnato in precedenza a grandi figure del teatro quali Isabelle Huppert (nel 2009), a Monica Guerritore (2011), e Emma Dante (2020).
Grazie al riconoscimento “Futuro della scena” Francesca Garolla ha potuto lavorare per un anno intero ad un nuovo progetto drammaturgico, che porta ora a Jesi. Lo spettacolo si chiama “Per la vita (primo studio)”, e va in scena al Teatro Pergolesi domenica 21 maggio alle ore 17, in chiusura della stagione di prosa promossa dalla Fondazione Pergolesi Spontini, dal Comune di Jesi e dall’AMAT, con il contributo della Regione Marche e del MiC. Francesca ne firma la regia e il testo, in scena sarà Viola Graziosi, aiuto regia Alan Alpenfelt, ricerca sonora Emanuele Pontecorvo, l’abito di scena è una creazione di Tina Sondergaard, produzione 369Gradi, in collaborazione con AMAT & Teatri di Pesaro, testo realizzato con il sostegno di La Chartreuse – Centre National des écritures du spectacle, Istituto Italiano di Cultura di Parigi.
Francesca Garolla è in questi giorni a Jesi, per allestire e presentare il suo spettacolo: stasera, giovedì 18 maggio ore 18 alle Sale Pergolesiane del Teatro, incontra il pubblico all’interno del progetto ad ingresso gratuito Essere Spettatore a cura di Pierfrancesco Giannangeli. L’occasione giusta per scambiare con lei quattro chiacchiere e ricordare la grande attrice jesina.
Ciao Francesca, grazie per questa intervista! Parto proprio dalla figura di Valeria Moriconi, che ogni jesino porta nel cuore. Quale fonte di ispirazione può essere ancora oggi, questa grande interprete, nel teatro contemporaneo? quale il suo contributo nel tuo percorso drammaturgico?
«Per me questa è una domanda difficile, risponderò con cautela, perché può essere molto riduttivo esprimere un punto di vista che, per quello che posso dire, non può rispecchiare appieno il valore di questa artista. Quello che credo è che Valeria Moriconi sia una di quelle figure il cui percorso è, per così dire, scivolato attraverso il tempo, attraversando momenti diversi e mostrandosi a generazioni diverse, sapendo dialogare con questa diversità e diventando portavoce di un processo, di un’evoluzione, di un trasformarsi artistico che non può non dialogare anche con l’oggi.
Credo che il suo contributo nel mio percorso sia soprattutto indiretto, più legato alla mia esperienza come spettatrice (purtroppo solo attraverso video o film) che a quella da autrice: un contributo alla “visione”, un arricchimento, qualcosa che non è evidente o direttamente legato al mio processo di ricerca, ma ha partecipato ad alimentare il mio immaginario».
Il tuo ultimo lavoro, che ora vede la luce grazie al sostegno appunto del Premio a lei intitolato, fa parte di una trilogia in cui indaghi il rapporto tra l’individuo e la libertà. Sul tema, tre diversi focus, tre diverse scelte. Ce li puoi raccontare?
«Per la vita nasce all’interno di una trilogia che indaga il tema della libertà da tre punti di vista differenti. Il primo testo che ho scritto, Tu es libre, ne affrontava la “pericolosità”, il fatto che la libertà privata di un contesto (storico, polittico, culturale o sociale che sia) sia spesso termine vuoto: quello che dalla nostra parte di mondo può essere libertà non è detto lo sia da un’altra. Che cosa significa quindi interrogarsi su di essa in termini etici o morali? A quale etica e a quale morale si fa riferimento quando si determina se sia lecito o meno agire (liberamente) in un determinato modo?
Il secondo testo, Se ci fosse luce, rifletteva, al contrario, proprio sulle “conseguenze” di atti compiuti liberamente e sul fatto di assumersene o meno la responsabilità al presente, ma anche al futuro, considerando che le nostre azioni potrebbero avere, o hanno, ricadute anche sulle generazioni che verranno.
Per la vita, l’ultima tappa del progetto, affronta invece il fatto che si possa “rinunciare alla libertà” o, meglio, trovare la propria libertà anche all’interno di una costrizione da cui non vogliamo uscire, nonostante questo non sia comprensibile agli altri».
Ti definisci dramaturg. È una parola che in Italia pratichiamo poco, e in pochissimi ne conoscono il significato. Ce lo spieghi tu?
«Cercando di farlo in maniera molto sintetica, ma spero non troppo generica, provo a dire che il dramaturg un po’ drammaturgo (all’italiana), un po’ consulente artistico, un po’ teorico e un po’ aiuto regista, una figura poliedrica, insomma: qualcuno che ha il compito di unificare “i segni della scena”, individuando linee di senso che devono poi esplicitarsi nella realizzazione di uno spettacolo o nella conduzione di un processo artistico».
Regista, dramaturg, attrice interprete, autrice. Nella casa del teatro, quale ruolo ti dà di più?
«Credo che sia il ruolo dell’autrice. Per la sua condizione di studio, di tempo di ricerca e, in un certo senso, di solitudine. L’autore arriva prima di tutti (intendo proprio cronologicamente) e per questo può immaginare da zero: a lui spetta l’incipit. Dopo ci sono molti altri passaggi e molti altri elementi che trasformeranno quel testo in un testo più complesso, che è lo spettacolo: fatto di regia, interpreti, suono, luci, scena e composizione. Un processo che è anch’esso bellissimo, profondo, e di cui come autrice non ho paura, perché difficilmente temo che il mio scritto venga in qualche modo snaturato, anzi, sono sempre curiosa di vedere che cosa diventerà».
Un piccolo spoiler sul tuo prossimo lavoro…
«Diciamo che dopo aver tanto indagato il tema della libertà, mi piacerebbe ora lavorare sulla “giustizia”. Chi sono gli uomini e le donne giusti oggi? Nella giustizia c’è crudeltà? La giustizia è davvero sopra a tutto? Queste sono solo tre delle tante domande a cui mi piacerebbe provare a rispondere con un nuovo progetto».