Jesi-Fabriano

Gastreghini: «Idee, coraggio e passione, le carte vincenti dell’imprenditore»

Intervista al direttore generale del gruppo Sole e Bontà di Jesi: «Quando mancano le risorse economiche bisogna far girare il cervello»

Luca Gastreghini al centro fra il presidente nazionale di Confindustria, Vincenzo Boccia e quello regionale, Claudio Schiavoni

JESI – «Quando mancano le risorse economiche bisogna far girare il cervello». È la filosofia imprenditoriale di Luca Gastreghini, direttore generale del gruppo Sole e Bontà di Jesi, specializzato nella produzione di pane, dolci, pasta fresca e gastronomia. Settanta i dipendenti, due i laboratori-stabilimenti, entrambi ubicati alla Zipa.

Artigianalità, innovazione e soprattutto coraggio: questi sono gli ingredienti, a detta di Gastreghini, per fronteggiare la timida crescita economica post-crisi. Ma mancano ancora due elementi, sempre secondo l’imprenditore jesino, per conquistare la fiducia della clientela e, di conseguenza, il mercato di riferimento, quello alimentare: il legame con il territorio e la volontà di fare rete. «Per crescere – spiega Gastreghini – è spesso opportuno fare un passo indietro per farne due avanti».

Luca Gastreghini

Gastreghini, cosa significa essere un imprenditore?
«Per fare questo mestiere, oggi, serve tanta passione. Rispetto al passato è indispensabile anche maggiore coraggio, sia da parte nostra che dei nostri dipendenti. Le istituzioni non aiutano a dovere le aziende, il sistema Italia è carente in questo. E bisogna fare da soli, rimboccarsi le maniche, pensare e rischiare».

La crisi economica è alle spalle?
«Sì, a mio modo di vedere. La crisi è terminata nel biennio 2009-2010. Ed ha cambiato radicalmente il mercato. Quello che conoscevamo prima del 2007, se va bene, lo rivedremo fra venti anni. Ora si è stabilizzato a livelli molto inferiori: le aziende che si sono riorganizzate su tali valori di crescita ne usciranno bene, a differenza di quelle che attendono ancora il ritorno dei “fasti” ante-2007».

Va poi fatta una distinzione fra imprese che lavorano su ambiti locali e non..
«Certamente. Le aziende che lavorano solo per il mercato interno si muovono a velocità ridotta, essendo calata di circa il 20% la produzione industriale di questo Paese. Chi invece si era organizzato a dovere per raggiungere mercati più lontani è riuscito a fronteggiare adeguatamente la crisi ed ora, magari, sta raccogliendo i frutti di tale lungimiranza. Stare su più mercati consente infatti di reagire meglio alle differenti fluttuazioni che si verificano a livello globale».

Cosa si potrebbe fare per rilanciare produzione, consumi e mercato del lavoro?
«Per far ripartire il mercato interno è imprescindibile far guadagnare di più i nostri dipendenti. A volte ci dimentichiamo che il lavoratore italiano è, in termini lordi, fra i più costosi in Europa per l’impresa, ma che percepisce uno stipendio fra i più bassi del vecchio Continente. Insomma, un operaio, qui da noi, guadagna il 60% in meno di un collega tedesco, ma all’azienda costa lo stesso. Chiaramente, i consumi non riescono a ripartire se queste sono le premesse. Abbassare le tasse sul lavoro, dunque, sarebbe la ricetta prioritaria. Poi è indispensabile la vicinanza e il supporto delle istituzioni alle imprese che esportano. Non servono decine di missioni differenti, ne bastano poche ma organizzate in sinergia fra tutti gli enti, attraverso un coordinamento statale».

Qual è la situazione del settore alimentare e le prospettive?
«Possiamo dire che, in termini di volumi, abbiamo sofferto meno la crisi ed annessi picchi, se  prendiamo a riferimento, ad esempio,  la meccanica. Ma i margini si sono abbassati notevolmente. Qualche anno fa, il rapporto qualità-prezzo era l’arma vincente. Oggi, purtroppo, proprio a seguito della contrazione dei consumi e della carenza di liquidità delle famiglie, si guarda principalmente al prezzo. La Vallesina, da questo punto di vista, è emblematica: avevamo una disoccupazione vicina allo zero ed ora siamo attorno al 12%. Si è ridotta la capacità di spesa dei clienti ed è ovvio che le piccole-medie imprese hanno difficoltà maggiori rispetto a chi opera a livello industriale».

Quanto influisce questa ricerca affannosa del prezzo più basso a scapito, sovente, della qualità?
«Molto. Noi ci siamo sempre posizionati sulla qualità medio-alta delle nostre produzioni. Siamo strutturati in questo modo e ci resta difficile competere solo sul prezzo. Fra l’altro, nemmeno lo vogliamo fare perché crediamo fermamente che sia la qualità a fare la differenza».

Quanto conta il legame con il territorio?
«Secondo noi tantissimo. Tutta la nostra filosofia si basa su tale assunto. Vendiamo i nostri prodotti su di un determinato contesto, gran parte del nostro fatturato è nelle Marche. Non a caso, tutte le materie prime le prendiamo da questo territorio, cercando di sostenere e promuovere anche la filiera territoriale. Siamo certificati biologici da più di 25 anni, aderiamo al disciplinare Qualità Marche, per nulla semplice da ottenere. Ma restiamo convinti che garantire la tracciabilità completa al cliente sia un segno di rispetto nei suoi confronti e di passione per ciò che si fa».

Quanto è importante fare rete?
«È importantissimo. Le piccole e medie aziende del nostro territorio, considerandone le dimensioni, fanno fatica a uscire dalle Marche. Economicamente sarebbe troppo oneroso per loro. Condividere un obiettivo, invece, e mettersi di conseguenza in rete, consente di raggiungere mercati altrimenti impenetrabili. Non vi sono altre soluzioni. Noi ad esempio abbiamo creato una rete assieme ad altre eccellenti realtà della nostra Vallesina, vale a dire Colonnara, il Salumificio di Genga e l’oleificio Mosci, e gestiamo in sinergia la commercializzazione e la rappresentanza, pur mantenendo inalterate le peculiarità aziendali. Quando mancano le risorse economiche bisogna far girare il cervello. E continuo a pensare che il piccolo sia bello. Del resto, viviamo in un territorio che si arricchito ed è cresciuto proprio grazie ad aziende di dimensioni ridotte. Ma oggi questa caratteristica non è più sufficiente. Bisogna organizzarsi per affrontare nuove sfide. E a volte è obbligatorio fare un passo indietro per farne due in avanti».