Jesi-Fabriano

Geologia e vini nelle Marche, un viaggio alla scoperta delle eccellenze territoriali

Il geologo Andrea Dignani traccia la mappa delle zone di produzione vinicola delle cinque province marchigiane, descrivendone le caratteristiche

JESI – «Un vino oggi viene identificato con la sua zona di produzione, come già accadeva nell’Età del Bronzo, poi in epoca romana con Plinio e, successivamente tra il 1200 – 1300, come attestato negli statuti comunali». A specificarlo è Andrea Dignani, il geologo che ci porta alla scoperta delle zone di produzione marchigiane e delle loro peculiarità.

Il geologo Andrea Dignani

«L’esempio più documentato è quello del Granducato di Toscana – spiega -. Nel 1716, per la produzione del Chianti, viene delimitata una vera e propria zonazione territoriale cui segue una codificazione legale. La capacità di classificare i territori viticoli, i terroir, con metodologie scientifiche moderne confermano le intuizioni del passato. Lo studio delle discipline per l’equilibrio idrico-nutrizionale, lo sviluppo vegeto produttivo, i tempi di maturazione, dipendono dalla geologia, dalla pedologia, dalla geochimica, dalla morfologia-esposizione e dal clima».

Il viaggio eno-geologico parte da Offida

Il viaggio eno-geologico parte da Offida, in provincia di Ascoli Piceno.
«La geologia dell’area si caratterizza per i depositi marini di sabbie, argille e conglomerati Pliocenici e Pleistocenici (da 5 a 0.5 milioni di anni) -illustra Dignani -. Una tettonica recente ha sollevato tutta l’area con una debole inclinazione delle strutture geologiche verso N-E, verso l’Adriatico. Il paesaggio si alterna a morbide colline con i ripidi e nudi calanchi, spettacolari morfologie frutto dell’erosione idrica delle argille. Il clima è vario, dalla costa all’interno, con un aumento delle precipitazioni e una diminuzione delle temperature che differiscono dal regime mediterraneo estivo a quello balcanico invernale. L’area per il clima, la tessitura fine dei suoli, l’esposizione delle morfologie a sud e ovest, le quote altimetriche basse, inferiori a 300 m.s.l.m., permette la valorizzazione delle uve di Montepulciano (vd.foto), Sangiovese per la produzione del Rosso Piceno e del vitigno Pecorino».

La tradizione del Vino Cotto

Uva tipica della zona di Offida

Nella zona del Fermano, ma anche in parte dell’ascolano e del maceratese, la tradizione del Vino Cotto.

«Secondo fonti storiche (Plinio il vecchio – I secolo d.C.), il vino veniva fatto bollire in modo da ridurne il quantitativo e aumentarne adeguatamente la densità, dando ad esso sapore e dolcezza e permettendo così anche una lunga conservazione. Probabilmente una tecnica appresa dai Greci e ripresa dai Piceni. In realtà il termine vino cotto è improprio in quanto è il mosto che viene cotto in un caldaro (grossa pentola di rame), per fare evaporare l’acqua e concentrare gli zuccheri. C’è poi da sottolineare che il vino deriva da mosto fresco mentre il nostro “vino cotto” deriva dalla cottura del mosto.

L’uva non utilizzata per il vino tradizionale, cioè quella con concentrazione zuccherina molto bassa, veniva usata per produrre vino cotto e ottenere gradazioni più alte. Tradizionalmente le uve utilizzate erano quelle particolarmente acquose e poco alcoliche, provenienti da morfologie sfavorevoli, con esposizioni a nord o localizzati nel fondovalle con terreni argillosi umidi con ristagni idrici. Oppure, quando il raccolto era di scarsa qualità rispetto al solito, il proprietario del terreno sceglieva l’uva migliore e lasciava al contadino quella rovinata. Questi, pur di non rischiare di rimanere senza vino, faceva ricorso alla cottura del mosto. Oggi il vino cotto è un prodotto di alta qualità, invecchiato, molto apprezzato nelle nostre tavole».

Il vino cotto

Nel Maceratese, riferisce sempre il geologo jesino, «vi è la Vernaccia di Serrapetrona, prodotta ai piedi della dorsale appenninica marchigiana, tra le formazioni calcaree e calcareo marnose – manose calcaree (Cretacico – Paleogene). Qui, i suoli sono costituiti da detrito di versante calcareo-marnose, mentre nelle zone più a est sono a base prevalentemente marnosa. Si produce un vino spumante ottenuto da uve del vitigno Vernaccia nera per almeno l’85%. La zona di produzione della Vernaccia di Serrapetrona DOCG comprende il territorio del Comune di Serrapetrona e in parte quello dei Comuni di Belforte del Chienti e di San Severino Marche. Le uve raccolte vengono pigiate, seguite dalla prima fermentazione del vino base. Parte delle uve vengono messe ad appassire fino a gennaio, per essere poi pigiate e diraspate. Il mosto così prodotto, aggiunto al vino base, si attiva per la seconda fermentazione alcolica, più lenta e, a seconda del residuo zuccherino, si ottiene la versione “dolce” o “ secca” dello spumante».

Il Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC, il vino bianco più premiato in Italia

La Vernaccia di Serrapetrona

La zona geografica delimitata per la produzione del Verdicchio dei Castelli di Jesi DOC, il vino bianco più premiato in Italia, è individuata in gran parte del bacino geografico del fiume Esino, nella provincia di Ancona.
«Il Verdicchio è un vino dai grandi profumi e sensazioni. Strutturato, corposo, elegante si presenta di un giallo paglierino con evidenti riflessi verdolini, da cui il nome Verdicchio, che ne evidenziano fragranza, vivacità ed una notevole freschezza. Nell’area del verdicchio si trovano le formazioni sedimentari, dalle zone alto collinari, verso il mare, le arenaceo-pelitiche del Miocene (20 milioni anni fa) e le formazioni esterne pelitico arenacee Plioceniche (5 milioni anni fa).
Il clima appartiene all’ambiente fitoclimatico “Alto collinare” caratterizzato da piovosità medie superiori a 700/800 mm annui e temperature medie inferiori ai 14 °C. I suoli originati nell’area sono alquanto vari e profondi e sottolineano la diversa dinamica dei versanti e l’uso del suolo, agricolo o naturale. In questi suoli aumenta l’incidenza di una evidente ridistribuzione del calcare nel profilo, nella parte pianeggiante, di origine alluvionale, i suoli con materiali prevalentemente calcare. L’altitudine media dei vigneti che si riscontra nell’area delimitata del Verdicchio dei Castelli di Jesi è per il 70% compresa tra mt 80 e 280 s.l.m. La pendenza dei terreni nella stessa area varia da 0 al 70% con una % di presenza dell’85% dei vigneti compresi tra le classi di pendenza 2 – 35%. L’esposizione dei vigneti nell’area delimitata raccoglie tutti i quattro punti cardinali comprese le posizioni intermedie. Le esposizioni est –ovest superano in percentuale le esposizioni nord – sud. Le precipitazioni medie annue sono di 800 mm. Nel territorio sono frequenti le gelate invernali e primaverili ma non intaccano l’attività vegetativa in quanto non ancora iniziata. La temperatura media massima nella valle raggiunge e supera nei mesi di luglio-agosto i 30° che consente miglior andamento vegetativo della vite».

Nel Pesarese sulle tracce del Pinot Nero

Il Verdicchio

Nella provincia di Pesaro, nella zona del Parco Naturale Regionale del San Bartolo, è stato recentemente valorizzato il Pinot Nero introdotto durante la dominazione francese napoleonica.

«Un legame con la Borgogna, la patria indiscussa del Pinot Nero, dove si ritiene che venga coltivato da più di duemila anni, ancor prima dei Romani, nel dipartimento francese della Côte-d’Or. Una zona di produzione, quella del San Bartolo, dove il microclima è decisamente marittimo. A 100-150 m.s.l.m., il suolo deriva da formazioni di arenaria calcarea e si caratterizzano per essere limosi, profondi, calcarei, con componente sabbiosa. La morfologia facilmente identificabile del San Bartolo dipende dalla sua struttura tettonica. Le formazioni manoso–arenacee del Messiniano (7 – 5 milioni anni fa) sono state deformate in una coppia di pieghe sinclinale-anticlinale, con disposizione NO-SE e vergenza appenninica, delimitata a nord est da un sovrascorrimento frontale immergente verso SW e con trasporto tettonico verso NE, ubicato in mare. La deformazione tettonica ha generato due diversi stili morfologici, una struttura geologica ad alto angolo verso est, con la formazione della falesia attiva sul mare, mentre il fianco della struttura verso ovest a basso angolo, protetto dai venti settentrionali ed accessibile all’uso agricolo, dove viene appunto coltivato il Pinot nero».

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