JESI – Due anni di contratto all’Albertiner Krankenhaus, uno degli ospedali più qualificati di Amburgo. In piena emergenza coronavirus. È preoccupata Debora Medici, 25enne di Jesi in procinto di iniziare a lavorare nel nosocomio tedesco. «Dal prossimo 1° aprile sarò operativa», specifica. Dopo aver colpito l’Italia, che conta quotidianamente nuovi contagi e vara misure drastiche per limitare gli spostamenti, l’epidemia si sta pericolosamente espandendo anche in Europa Centrale. Ma il clima appare ben diverso da quello italiano.
«I telegiornali tedeschi ne parlano continuamente – evidenzia Debora Medici -, ma la vita scorre tranquilla. Non ci sono persone con le mascherine in giro, gli eventi continuano a svolgersi come se nulla fosse, nessuna corsa ad accaparrarsi generi alimentari nei supermercati. Ammetto di essere preoccupata. Credo si stia sottovalutando il problema. Temo che fra due, tre settimane, la Germania si ritroverà nella stessa situazione del mio paese. E io sarò a lavorare in ospedale quando ciò accadrà. Spero vivamente di sbagliarmi».
La 25enne jesina, intenzionata a studiare musica in un’accademia tedesca non appena avrà acquisito familiarità con la lingua, ha anticipato la partenza dall’Italia proprio per non rischiare di perdere l’opportunità lavorativa in ospedale. «Fiumicino semi-vuoto, aereo idem, e ad Amburgo nessun controllo – ricorda -. Mi hanno solo fatto compilare un modulo in cui ho inserito i dati anagrafici, la provenienza, la domiciliazione in Germania e gli spostamenti effettuati, così da essere sempre rintracciabile nei successivi 30 giorni. Se dovesse accendersi un focolaio, molto probabilmente verrei contattata. In questo momento, infatti, non avendo ancora la possibilità di utilizzare la mia casa qui, sto praticamente chiusa in ostello, quasi in auto-isolamento».
Le preoccupazioni, tuttavia, non mancano. «Non conosco perfettamente il funzionamento degli ospedali tedeschi né la politica adottata per i tamponi. E non so esattamente quale sia la reale disponibilità delle terapie intensive, è la mia prima esperienza lavorativa all’estero – ammette Debora -. Mi è sembrato però di capire che le verifiche sull’eventuale positività al coronavirus vengano effettuate solo nei pazienti con sintomi molto, molto gravi, almeno ad oggi, a differenza di quanto accade in Italia. Ripeto, penso vi sia un po’ di sottovalutazione. Inoltre, sono preoccupata per la mia famiglia rimasta a Jesi, è difficile stare lontani dai propri cari in questo momento. Molto. Spero davvero che questo incubo passi presto».