JESI – Giornata mondiale per la lotta all’Aids, a che punto siamo? L’emergenza Covid ha scaraventato in secondo piano tante altre malattie, ma ricercatori e medici continuano la loro battaglia, pur lontano dai riflettori, per debellare l’infezione da Hiv. A illustrare numeri e prospettive è Luca Butini, presidente di Anlaids Marche (nonché tesoriere dell’associazione nazionale) e responsabile del Centro per lo studio e la cura delle immunodeficienze dell’adulto (SOSD Immunologia Clinica) dell’ospedale di Torrette.
Dottor Butini, qual è la situazione in Italia e nelle Marche relativamente all’Aids?
«Nel 2018, con i dati 2019 che saranno disponibili nelle prossime settimane, in Italia sono state effettuate circa 2.900 nuove diagnosi di Infezione da HIV (una ogni 8 ore): ciò equivale ad una incidenza nazionale di 4,7 nuovi casi ogni 100.000 residenti – spiega il medico, che è anche vicesindaco e assessore alla cultura a Jesi -. I nuovi casi hanno riguardato 70 marchigiani, l’incidenza (4,6 nuovi casi ogni 100.000) è in linea con la media nazionale. Le nuove diagnosi sono diminuite lievemente tra il 2012 e il 2015, sono rimaste stabili dal 2015 al 2017, sono invece diminuite nettamente nel 2018 (-20% rispetto al 2017)».
Da cosa dipende, a suo parere, questo decremento? Merito della prevenzione?
«Non si direbbe a giudicare dai dati su altre Malattie Sessualmente Trasmissibili (MST): il numero di persone con una MST confermata è infatti in continuo aumento dal 2000, i casi di infezione da Chlamydia trachomatis – una delle infezioni “sentinella” – nel 2018 è aumentato del 30%, negli ultimi tre anni i casi di gonorrea sono raddoppiati! È piuttosto ipotizzabile che un ruolo nella diminuzione delle nuove diagnosi di HIV sia effetto dal fatto che le persone con HIV che assumono regolarmente una terapia efficace da almeno dei mesi non sono più infettanti per il/la partner (U=U, Undetectable=Untrasmittable)».
La fascia di età più colpita?
«La fascia di età con maggiore incidenza di nuove diagnosi è quella fra i 25 ed i 29 anni. Va però considerato che nella maggior parte dei casi fra contagio e diagnosi possono passare anche alcuni anni, per cui il contagio in realtà riguarda anche giovani e giovanissimi sono i più a rischio. Nel 2017 c’è stato il picco di nuove diagnosi tra gli under 25».
Qual è oggi la via di infezione più frequente?
«HIV è una malattia a trasmissione sessuale, per cui chi fa sesso può correre il rischio di infettarsi. I rapporti sessuali non protetti da un uso corretto del profilattico sono responsabili dell’80% delle infezioni da HIV diagnosticate nel 2018: nel 39% dei casi l’infezione è avvenuta per rapporti omosessuali fra maschi, nel 23% dei casi in maschi eterosessuali, nel 18% dei casi in donne eterosessuali, nel 4% a seguito di scambio di siringhe in tossicodipendenti, nel 16% dei casi le cause non sono state riportate».
Come ci si accorge di essersi infettati?
«In realtà molto spesso l’infezione da HIV è asintomatica (come COVID-19!). Ad eccezione di coppie in cui entrambi i partners risultino negativi ad HIV e siano reciprocamente fedeli – lì HIV non entra – in tutti gli altri casi è consigliabile che il test HIV sia eseguito una volta all’anno, soprattutto in chi sappia di avere una attività sessuale a rischio (non uso del profilattico, partner multipli). Esiste anche il test rapido fai-da-te, che si compra in farmacia, salivare o su una goccia di sangue, che se positivo va confermato con un test tradizionale (ancora analogie con COVID-19)».
Che succede a chi risulta sieropositivo per HIV?
«Si sente proporre di iniziare subito una terapia, appena ricevuti i referti dei primi esami. Oggi abbiamo infatti farmaci talmente efficaci e talmente ben tollerati da essere raccomandati in tutte le persone con HIV, anche in chi non abbia sintomi o non presenti evidenza di immunodeficienza. Nei primi anni ’90 la positività per HIV suonava come una condanna a morte. Oggi il test HIV ti salva la vita, e salva dall’infezione il tuo o la tua partner (ed il bambino che hai in grembo nel caso scoprissi l’HIV quando sei incinta!)».
La sensazione è che di Aids, complice anche il Covid, ma non solo, si parli meno. È davvero così?
«Sì, è giusto. Un po’ perché nei Paesi occidentali HIV/AIDS non costituisce più un’emergenza sanitaria. Un po’ perché parlare di sessualità non è sempre facile. La lotta alla discriminazione non ha avuto gli stessi successi della lotta al virus HIV e l’argomento HIV/AIDS riguarda sesso e discriminazione».
I giovani fanno educazione sessuale?
«La prima cosa che chiedo quando, da volontario di ANLAIDS incontro ragazze e ragazzi di terza media o prima superiore, è se in quella classe educazione all’affettività ed educazione sessuale siano state materia di insegnamento. La risposta? Dipende molto dal singolo insegnante. Va un po’ meglio ultimamente, ma ci sono ancora sacche di ignoranza, di inconsapevolezza e di falsa informazione. Gli adolescenti hanno ancora molti tabù sull’amore, sul sesso, sul rapporto affettivo fra due persone, sulla parità di genere, sull’uso del preservativo, che ragazze e ragazzi ancora considerano una barriera al piacere ed all’amore o addirittura si vergognano di comprare. A questo proposito da molti anni Anlaids collabora con un produttore di preservativi (Durex), la campagna si chiama #bastatantocosì. La pandemia COVID-19 ci ha brutalmente ricordato quanto la salute ed il futuro di ognuno di noi dipendano dai nostri comportamenti. Impariamo, definiamo una nuova normalità per muoverci in sicurezza per un futuro sereno».
SAFE IS THE NEW NORMAL!
www.anlaidsonlus.it