JESI – Raccontare un artista non è mai semplice perché in quello che realizza c’è molto di se stesso, ci siamo noi, c’è un lavoro di studio e osservazione.
Incontrare Giovanni Branciforte, origini siciliane ma residente a Jesi, significa essere travolti da un turbinio di emozioni: tecnica disinvolta, sensibilità, una piena libertà emotiva ed espressiva sono solo alcune delle caratteristiche di questo artista che non si stanca mai di cogliere il lato gioioso delle cose. Attraverso uno stile chiaro e preciso, Branciforte ci racconta e si racconta con tecniche e materiali che contraddistinguono il suo stile.
Come si sviluppa il suo lavoro?
«Amo dipingere, mi fa stare bene. Quando ho un’idea che voglio sviluppare ho bisogno di osservare, andare nei luoghi dove l’idea è più attinente e qui dipingo. Ho passato intere stagioni al fiume per vederne il cambiamento. Alla fase dell’osservazione è seguita quello dello studio: vado a vedere come è stata realizzata l’idea nella storia e la cancello. È un grande sforzo ma mi permette di fare cose nuove, che non sono mai state viste: la rappresentazione deve dire qualcosa di me, sono opere molto soggettive sempre gradevoli».
Che tecniche usa?
«Diverse, principalmente olio su tela. Sono siciliano e amo il colore, mi piace inoltre cogliere sempre il lato gioioso delle cose. Quando provo qualcosa sento l’obbligo di metterlo su tela. L’acqua, quel senso di umidità, nelle mie opere non manca mai».
Quando un’opera la ritiene finita?
«Vedo se il quadro funziona, se c’è equilibrio. Nelle mie opere c’è erotismo, ci sono rotondità che donano grazia e morbidezza. L’idea è veloce ma prima che sento finito un quadro può passare anche un anno».
Arte digitale, cosa ne pensa? «È una categoria artistica in fase di sperimentazione, e questo è un aspetto importante ma ci vuole comunque talento perché solo i numeri non bastano e si rischia che un quadro sia solo immagine. Realizzare con il pennello è altra cosa ma alla stessa maniera è fondamentale conoscere il mezzo con cui si lavora».
Giovanni Branciforte con le sue opere ha partecipato a mostre personali e collettive in diverse città italiane da nord a sud, e più volte le sue opere hanno ottenuto premi e riconoscimenti a livello internazionale. Ha iniziato a dipingere giovanissimo in Sicilia, poi si è trasferito a Bologna per studiare.
Può raccontare i suoi inizi?
«Ho cominciato in Sicilia e i miei quadri avevano successo ma vendere e basta non mi interessava, sentivo di essere limitato di non riuscire a crescere. A Bologna ho frequentato il Dams indirizzo arti visive, ho messo da parte la pittura per studiare e ho seguito per due anni un corso di “Psicologia dell’arte”. Ho frequentato anche l’Accademia Clementina di Belle Arti».
Chi sono i suoi maestri?
«La prima tesi l’ho fatta sui meccanismi della rappresentazione visiva di Saul Steinberg, il diploma di pittura l’ho conseguito con una tesi su Lucian Freud. Sono loro i miei maestri, dalla linea sottile del primo all’immagine forte e reale del secondo. Omar Galliani mi piace moltissimo, Dürer tra i classici e Raffaello perché nessuno ha saputo rendere la grazia come ha fatto lui, non si può imitarlo».
Dare vita all’idea davanti alla tela è uno sforzo, una fatica o una liberazione?
«L’artista assorbe molto, prova sensazioni che vanno espresse anche in maniera gioiosa, per me è un elemento importante poiché la realtà è già tanto dura. Ma posso dire che è un mistero: quello che si prova a volte fa male, si prova sofferenza ma poi mi faccio coraggio e faccio uscire la sofferenza. L’arte è amore, tradimento, sensazioni. Ho sempre molte idee, schizzo sempre qualcosa e se mi blocco insisto e insisto finché non viene fuori, anche a costo di stare male ma per me è importante. Nell’arte è così, la sofferenza si può trasformare».