Giovanni Sollima, curioso indagatore del pentagramma e virtuoso del violoncello, compositore italiano tra i più eseguiti al mondo, torna a Jesi per la Fondazione Pergolesi Spontini in un nuovo concerto che lo vede solista ed insieme direttore concertatore di uno dei più apprezzati ensemble nazionali, l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini fondata dal M° Riccardo Muti.
L’evento sarà al Teatro Pergolesi giovedì 17 marzo ore 21, per una serata all’insegna della solidarietà, con l’incasso devoluto alla Lega del Filo d’Oro, la fondazione punto di riferimento in Italia per le persone con sordocecità e pluriminorazione psicosensoriali.
«Ho sempre usato il violoncello come una sorta di scanner di vocalità, soprattutto non occidentali», aveva detto di sè Giovanni Sollima in occasione della sua esibizione al Festival Pergolesi Spontini 2004. «Per me – aveva spiegato – comporre è un po’ come una navigazione, un’esplorazione di un atlante. Non sono un feticista del pentagramma oppresso d’inchiostro. La mia opera può ricevere sollecitazioni dal musical, dall’album di canzoni, dall’oratorio, dal melodramma, dalla cantata barocca».
I concerti di Sollima offrono al pubblico travolgenti esperienze di spettacolo; è un musicista che può viaggiare andata e ritorno tra l’empireo della classica dove ha suonato con i grandi, da Yo-Yo Ma a Riccardo Muti, da Sinopoli ad Argerich, e il più irriverente eclettismo, attraversando tutti gli strati della musica, dagli inni grunge e rock ai paesaggi assolati della sua Sicilia e del Mediterraneo. Il suo incontro con l’Orchestra “Cherubini” («Una compagine unica», spiega a proposito il musicista) sarà su tre palcoscenici nazionali, quello di Jesi il 17 marzo, quello del Teatro Verdi di Salerno il 15 marzo, e quello dell’auditorium di San Romualdo a Ravenna il 18 marzo. In programma, accanto al celeberrimo Concerto n. 2 per violoncello di Haydn, il brano di Sollima Fecit Neap 17, dedicato alla città partenopea dove si sono formati i suoi avi musicali e i musicisti della sua famiglia, e una vera e propria scoperta musicale e novità assoluta per il pubblico di oggi: il Concerto per violoncello di Gaetano Ciandelli, nome che appartiene a un violoncellista napoletano allievo di Paganini ma anche ad almeno altri due musicisti tra Sette e Ottocento. Sulle tracce di Ciandelli da oltre dieci anni, Sollima ne sta riportando a galla la figura misteriosa.
Chi era Gaetano Ciandelli? Come è entrato in contatto con la sua musica?
«Si tratta di un piccolo giallo, al quale sto indagando e del quale spero verrò a capo! Paganini ha effettivamente avuto un allievo di nome Gaetano Ciandelli, violoncellista napoletano, ma almeno due musicisti tra Sette e Ottocento a Napoli portano quel nome… Ero sulle tracce di questo Concerto almeno da dieci o quindici anni, attraverso testi antichi, vecchie catalogazioni, qualche sparuta notizia sull’autore. Poi a marzo 2020, il tempo sospeso del “lockdown” mi ha consentito, oltre che di comporre e studiare, di portare a termine con successo alcune ricerche che andavano a rilento, tutte più o meno legate a una serie di “anelli mancanti” nella storia del violoncello. Inoltre, un aiuto improvviso e inaspettato mi è arrivato da un libro bellissimo nel quale mi sono imbattuto sempre in quel periodo: La scuola violoncellistica di Gaetano Ciandelli della musicologa Enrica Donisi, che racconta in modo accattivante e affascinante di una Napoli, almeno fino al 1861, ricchissima di cultura. Ho scoperto, così, dove si trovava il manoscritto del Concerto: alla Biblioteca del Conservatorio Verdi di Milano, parte del Fondo Noseda, e ho ottenuto di vederlo, quindi l’ho riportato in notazione moderna, e ne ho studiato le poche informazioni presenti, articolazioni e segni dinamici (quantitativamente simili a quelli di Haydn o autori coevi), mentre il resto si poteva dedurre da una certa prassi, quindi ho composto anche le cadenze e le fermate. In generale, si tratta di un Concerto tipico della scrittura napoletana del periodo tra Sette e Ottocento. Intanto, posso dire che nel Concerto di Ciandelli emergono un movimento lento incorniciato da due brevi recitativi e un bellissimo Rondò in 6/8 con una sezione centrale in minore (esattamente come nel Concerto di Haydn), e anche un più lento con archi pizzicati seguito da un accelerando finale – sembra quasi una porta aperta su Beethoven o su Rossini».
Il concerto di Haydn è una pagina celeberrima, come la affronta?
«Per i violoncellisti rappresenta sempre un mix di sublime e terrore per la sua scrittura estrema! In realtà, è un lavoro che per forma e varietà di registri violoncellistici (che definirei vocali) non ha precedenti: di certo il suo frequente utilizzo in concorsi e audizioni ha contribuito a una sorta di rigidità interpretativa, quindi a quella dose di terrore, che ne ha in parte oscurato i tratti nobili, i colori, la trasparenza, e anche una certa “gestualità” che affonda le radici nello stile galante. Comunque, in generale, sia con Ciandelli che con Haydn mi soffermo ancora una volta sull’antica centralità culturale di Napoli».
A proposito di Napoli, arriviamo alla sua composizione, Fecit Neap 17.
«Si tratta di un brano che ho scritto quasi dieci anni fa, per eseguirlo e registrarlo assieme ad altri concerti per violoncello del Settecento napoletano con Antonio Florio e il suo ensemble, allora I Turchini, oggi Cappella Neapolitana. Ed è proprio a quel periodo che mi ispiro. Ma al tempo stesso, da siciliano (è più forte di me!) spingo il tutto ancora più a sud e a sud-est…».
In questa tournée, nel doppio ruolo di solista e concertatore, torna a collaborare con l’Orchestra Cherubini. Come si lavora con un’orchestra di giovani musicisti in formazione?
«Ho avuto la fortuna di suonare con loro e di essere da loro eseguito diverse volte, con il maestro Riccardo Muti, e questa occasione è per me un immenso piacere e un onore! Trovo che l’intensa e continuativa attività della Cherubini – vera eccellenza italiana nel mondo – sotto la guida di Muti e, sempre grazie a lui, l’impegno in tematiche importantissime che vanno dalla formazione a prese di coscienza (e di posizione!) sul piano etico e sociale, penso per esempio ai Viaggi dell’amicizia, la rendano una compagine unica».