JESI – Imprevedibile e anticonvenzionale. Complesso nella sua apparente semplicità. Questo fu Giovanni Battista Pergolesi. Così lo descrive Lucio Gregoretti, fra i più importanti compositori di opere di teatro musicale, musica sinfonica, da camera e musica elettroacustica, nonché autore del coinvolgente e e multiforme “linguaggio” sonoro che guida “Il colore del sole”, l’opera più attesa della XVII edizione del Festival Pergolesi Spontini in scena venerdì 8 settembre, al Teatro Pergolesi di Jesi (ore 21). Un Festival dedicato al “Falso D’Autore”, tema quantomai azzeccato per questa eclettica rappresentazione che approda sul palco del Massimo jesino, ispirata al diario di Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, inventato – o sarebbe meglio dire immaginato – da Andrea Camilleri.
Atto unico per la direzione di Gabriele Bonolis e la regia di Cristian Taraborrelli, “Il colore del sole” andrà in prima esecuzione nazionale ed è ispirato alla fase della vita di Caravaggio più oscura (gli anni della fuga da Malta), in cui lo scrittore siciliano immagina di venire a contatto con un diario inedito dell’artista, dal quale riesce a copiare alcune pagine. Un allestimento della Fondazione Pergolesi Spontini realizzato in coproduzione con il Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena ed in collaborazione con Roma Sinfonietta e Accademia d’Arte Lirica di Osimo.
Gregoretti, come mai questo debutto a Jesi?
«Avevo in mente da tempo questo progetto e il maestro De Vivo (direttore artistico della Fondazione Pergolesi Spontini ndr.) è stato, fin dall’inizio, fra le persone più interessate e incuriosite da tale idea. Ne abbiamo parlato molto insieme, ci abbiamo lavorato e mi ha dato preziosi consigli. Poi si è presentata l’opportunità di metterlo in scena e non me la sono lasciata sfuggire. Fra l’altro il tema del Festival è il “falso d’autore”, l’occasione ideale. Ben volentieri, pertanto, mi sono messo a curare gli aspetti realizzativi dell’opera».
Quali sono le peculiarità de “Il colore del sole”? Cosa dobbiamo aspettarci?
«Direi che sono molteplici. Innanzitutto è un’opera tratta da un romanzo anomalo, caratterizzato da una narrazione frammentaria. Un racconto suddiviso in due parti, dove lo scrittore è nello stesso tempo protagonista e “narratore”. La rappresentazione sarà pertanto condotta da un attore accompagnato da un doppio quartetto vocale che interviene in alcuni momenti, interpretando personaggi e commentando azioni».
In che modo ha delineato in musica la vita di Caravaggio e cosa, in particolare, l’ha colpita?
«Michelangelo Merisi è un grandissimo artista, ma anche un assassino, che già di per se è un aspetto interessante. Devo dire tuttavia che, più che la sua vicenda umana, è stato il romanzo di Camilleri a colpirmi, la sua fantasia che galoppa fra personaggi dell’epoca, frammenti di vita e dettagli inventati che la storiografia ufficiale non conosce. Mi piaceva affrontare un lavoro di teatro musicale, creando una commistione fra la musica barocca e il linguaggio musicale di oggi. Qua e là spargo madrigali e composizioni polifoniche, cifre stilistiche contemporanee e allusioni al barocco. Volevo “disegnare” musicalmente una storia che vivesse di allusioni, riferimenti e vocazioni. Spero di aver ottenuto un risultato convincente. Di sicuro, la bravura e la professionalità del cast, della regia e della direzione mi hanno agevolato».
Lei ha realizzato più di cento composizioni, anche per cinema e teatro. Ritiene che la musica contemporanea debba restare prerogativa di una ristretta nicchia di intenditori o possa ambire a coinvolgere differenti pubblici?
«Io credo che la musica contemporanea debba puntare a pubblici eterogenei, senza dubbio. È nostro dovere riempirla di contenuti in grado di arrivare a tutti, come avviene in Germania e Francia, dove il rapporto con la musica è più disinvolto e ogni concerto sinfonico è aperto da un brano contemporaneo. È una consuetudine, insomma. Del resto, il pubblico dell’opera va coltivato e stimolato, perché è il più competente ed esperto che abbiamo. È un pubblico che capisce ciò che gli si dice, coglie i particolari, consente un dialogo, e magari fischia se non gradisce, a conferma che il messaggio arriva. La speranza è che vi sia un ricambio, essendo un elemento decisamente prezioso per il nostro teatro».
Essendo a Jesi, di nuovo, cosa ne pensa di Pergolesi?
«È di sicuro un grande compositore. Molte opere non sappiamo se siano sue o di altri e questo alone di mistero, a cui la Fondazione Pergolesi Spontini ha dedicato il Festival di quest’anno, contribuisce a renderlo ancora più affascinante. Dal punto di vista tecnico, la sua semplicità è solo apparente, essendovi nella sua musica soluzioni molto complesse, che sfuggono alle convenzioni dell’epoca e che sorprendono. Non è affatto un compositore prevedibile».