JESI – L’Anffas – Associazione nazionale famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale – nasceva 60 anni fa a Roma per merito di una mamma, Maria Luisa Menegotto, che gettò le basi per il suo futuro sviluppo.
Lo scopo, il riconoscimento dei diritti civili delle persone con disabilità intellettiva. Basti pensare al diritto alla scuola.
«Per noi la solidarietà va bene – dice il presidente Anfass Jesi – Vallesina, Antonio Massaccio – ma è importante che le persone che ci stanno intorno condividano la loro vita con la nostra, perché solo così si arriva all’inclusione sociale. Non vogliamo essere integrati ma inclusi, anche attraverso la legge sul “Dopo di noi” del 2015, per garantire la capacità di mantenersi quando viene a mancare il sostegno familiare».
L’Anffas a Jesi è nata nel 1990, in precedenza era una sede distaccata di Ancona, molto “lavoro” è stato fatto e altrettanto impegno si profonde quotidianamente da parte dei soci, una trentina di famiglie tra Jesi, Chiaravalle, Staffolo e Filottrano.
La nostra realtà è piccola «ma Jesi e la Vallesina hanno servizi da considerare come fiori all’occhiello, grazie a noi e al Gruppo di solidarietà di Moie che abbiamo fatto da coscienza critica nei confronti degli amministratori locali. Certo, ora qualche difficoltà esiste a causa delle ristrettezze che ci sono, ma non è stato tagliato nulla».
I problemi nascono anche a causa delle barriere architettoniche, problemi che «vanno ascritti a una dimensione culturale. Le hanno fatte e toglierle costa».
Il grande progetto è l’apertura di una comunità residenziale per persone con disabilità, in via Paradiso – accanto al distributore di carburanti – ma si è allo stallo perché il terreno a disposizione è piccolo, 2.500 mq, il che costringerebbe a edificare in verticale. Si era perciò iniziato un percorso con il comune di Jesi per permutarlo con un’area più grande, in via Murri, dove si potesse costruire in orizzontale, senza barriere.
«Ci siamo fermati – spiega Massaccio – non per cattiva volontà degli amministratori quanto perché le norme in vigore non consentono a un Comune di trattare con i privati. Occorre fare una gara per vendere al miglior prezzo e non è detto che la vinciamo noi. Ma non ci arrendiamo, guardiamo avanti».