«La violenza distrugge ciò che vuole difendere: la dignità, la libertà e la vita delle persone». Scegliamo le parole di Giovanni Paolo II per sintetizzare un fenomeno da condannare. Nella Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, siamo ancora a discutere di vittime e carnefici, di numeri e di percorsi da attivare per intervenire.
Secondo il report sul fenomeno della violenza di genere nel 2019, elaborato dalla Regione Marche, la maggior parte dei casi di violenza, maltrattamenti e abusi avviene all’interno della vita domestica. La relazione problematica si instaura in contesti affettivi di coppia dove sia la donna che il maltrattante hanno un’età media tra i 39 e i 58 anni, sono di nazionalità italiana, hanno un livello di istruzione medio alto e un’occupazione medio-stabile. Spaccati in cui troppo spesso vengono anche coinvolti i figli minorenni e/o adolescenti, testimoni o destinatari della violenza che crea loro danni anche psicologici importanti.
Ecco lo speciale realizzato:
Molte vittime hanno paura di denunciare, strette in un vortice psicologico di dipendenza, di ricatto morale, di sensi di colpa soprattutto in presenza di figli. Ma anche per superare questi ostacoli, fondamentale è l’aiuto psicologico delle operatrici dei Centri Antiviolenza e degli sportelli di ascolto, istituiti su tutto il territorio.
«Il primo contatto con la donna arriva qui e noi forniamo un servizio di ascolto – spiega Eleonora Petrini, avvocato e operatrice volontaria della Casa delle Donne di Jesi –: due operatrici, una legale e una psicologa, ascoltano la donna e valutano il percorso più adatto, che può essere una consulenza o accompagnarla a sporgere denuncia o nello step successivo qualora la denuncia sia stata già fatta».
«Per le donne è così difficile denunciare perché c’è uno stigma sociale anche nei confronti delle vittime, infatti molto spesso succede che la vittima venga processata dall’opinione pubblica – spiega anche Grazia Gara, operatrice di sportello della Casa delle Donne che cura l’aspetto psicologico – e quindi non è più lei la vittima, ma è colpevole e lei si sente colpevole per questo».
A livello regionale, rispetto al 2018 c’è stata una leggera flessione, circa 40 casi in meno forse dovuti a un aumento dei servizi antiviolenza come lo sportello Casa delle donne di Jesi o all’azione incisiva delle forze dell’ordine che inviano le donne direttamente alle case rifugio. «Dall’inizio dell’anno 2020 invece abbiamo avuto 50 contatti», aggiunge ancora Eleonora Petrini, sottolineando purtroppo che le storie sono sempre più brutte, sempre più pesanti. «Una donna può andare in una casa rifugio se da parte di una donna vi è la volontà di ricorrere a una casa rifugio, è insomma una decisione solo su base volontaria», ci spiega anche Cristiana Scuppa, avvocatessa e operatrice dello sportello antiviolenza della Casa delle Donne di Jesi.
Un fenomeno che non accenna a diminuire. Ma con l’introduzione della Legge 69 del 2019, denominata “Codice rosso”, molto si sta facendo per la tutela delle vittime.
«Il Codice Rosso è il nome comune di una legge dello Stato entrata in vigore nell’agosto del 2019 – spiega il capitano Simone Vergari, comandante della Compagnia Carabinieri di Jesi -, una legge composta da 21 articoli, si preoccupa di disciplinare i reati domestici, i reati di violenza domestica e di violenza di genere. È uno strumento nelle mani dell’autorità giudiziaria e della polizia giudiziaria che si prefigge due obiettivi principali: snellire l’iter già previsto dalle nostre leggi e inasprire per alcuni reati le pene. L’autorità giudiziaria, che è il dominus della materia, ha la possibilità di intervenire da subito nelle varie situazioni a tutela della vittima e del buon andamento delle indagini». Il Codice Rosso permette alla vittima di essere valutata ai massimi livelli in maniera rapida, «il pubblico ministero interagisce da subito, vengono poste in essere tutte quelle misure di sicurezza che servono a tutelarla e a tutelare la sua riservatezza, che in molti casi è uno dei limiti delle vittime per la denuncia».
Il lockdown ha fatto registrare un lieve calo delle denunce, forse determinato dalla maggior presenza in casa del maltrattante e quindi di un più costante controllo della vittima. «Il fenomeno della violenza sulle donne ha un andamento costante e diluito nei vari mesi – continua il capitano Vergari -; di fatto nei periodi di lockdown abbiamo registrato delle oscillazioni e ci hanno fatto comprendere che, dovendo convivere in una abitazione per più tempo, coloro che erano avvezzi a queste condotte hanno avuto più tempo… Noi come forze dell’ordine poniamo massima attenzione, c’è tanta sensibilità, una legge nazionale ne è la prova. Sproniamo i cittadini a non avere riserve e a denunciare, sentendosi tutelati anche attraverso l’esecuzione di questo protocollo che può garantire al massimo la qualità del servizio. Alle vittime di maltrattamenti e violenze dico di non avere paura, di sentirsi protette».
Ciò che emerge dal report della regione Marche è anche il profilo dell’aggressore: spesso un familiare, un marito, un fidanzato, un convivente. Non ha tratti delinquenziali ma un profilo “normale”: il 54% dei soggetti ha un’età media tra i 39 e i 58 anni, italiano, livello di istruzione medio, occupazione stabile. Un uomo tipicamente normale, il che rende più difficile per la vittima essere credibile verso la società nel denunciare o spiegare comportamenti violenti o persecutori di un uomo che agli occhi di tutti appare tranquillo e senza particolari problematiche. «Il controllo ossessivo del cellulare, delle uscite della moglie e dei contatti è un segnale di una relazione malata e non va sottovaluto», conclude Gara Grazia.
Alla Casa delle Donne – Sportello antiviolenza di Jesi, nonostante il lockdown, l’impegno non viene meno, anzi il numero dedicato è sempre attivo e le riunioni delle operatrici si susseguono. «Il periodo del lockdown è stato molto difficile, complicato – aggiunge anche Eva Duca, pedagogista e operatrice volontaria della Casa delle Donne -, per le vittime di violenza non era tutelante, anzi era una fonte di pericolo in quanto le mura domestiche sono il luogo in cui viene agita maggiormente violenza. Durante il lockdown si è assistito a una diminuzione dei contatti, purtroppo non per una diminuzione della violenza ma perché le donne non riuscivano a contattare i centri, le forze dell’ordine, il numero nazionale 1522 perché erano controllate dal maltrattante, sia fisicamente che il telefono. Oltre al numero nazionale 1522 lo sportello antiviolenza di Jesi ha un suo numero diretto, il 366.4818366 è attivo dalle 8 alle 20, siamo reperibili anche nel fine settimana».