JESI – Il ghetto ebraico di via e vicolo Fiorenzuola, a Jesi, è stato al centro dell’incontro mensile, al Circolo Cittadino, del club Nova Aesis, che proprio in questo mese di ottobre ha ripreso l’attività – organizzata dal presidente Fabio Bertarelli e dal vice, Giancarlo Catani – con i suoi interessanti incontri.
Ospiti Maria Cristina Zannotti, ricercatrice-scrittrice, e Giancarlo Goffi, autore del saggio – insieme a Fabio Galeazzi – “Brevi cenni riguardo agli israeliti nella città di Jesi”, i quali hanno tracciato uno spaccato di storia che attraversa la nostra città in un arco di tempo di 450 anni.
Il ghetto, già al centro di varie iniziative che lo stanno riscoprendo per riportarlo alla memoria, rappresenta la testimonianza di una presenza che data – ha spiegato Goffi – sin dal XIII secolo, esattamente dal 1294, come si può rilevare da un documento relativo al processo contro la Città di Jesi che aveva assalito l’abbazia di san Benedetto de’ Frondigliosi – presso Castelplanio -. In quelle nove pergamene si fa riferimento ai “dominus” Benedetto e Angelo, ebrei che avevano raggiunto anche uno status sociale di rilievo.
Nel 1370 arrivarono gli ashkenaziti – ha ricordato nella sua relazione Maria Cristina Zannotti – provenienti dalla valle del Reno, mentre dal 1492 fu la volta dei sefarditi, dalla Spagna, dopo la caduta della musulmana Granada.
«Jesi – ha ricordato la studiosa – rappresenta una delle poche comunità lontane dal mare, da quella via dei commerci che gli ebrei praticavano con successo, insieme ai prestiti – proibiti ufficialmente a cristiani anche se da loro praticati a usura sottobanco, come nel caso di Floriano Santoni che fu, poi, decapitato -, all’artigianato, alle scienze, mediche in particolare».
E in città si stabiliscono definitivamente perché cercati, in quanto in grado di far “girare moneta” in prestito anche per i bisogni di chi amministrava la cosa pubblica. Tanto è vero che, quando osteggiati dalla popolazione per le loro capacità e ricchezze, furono costretti ad abbandonare definitivamente Jesi, nella prima metà del XVII secolo, trasferendosi ad Ancona, Senigallia, Pesaro, nel Montefeltro, non ritornarono più. Anche se, ancora una volta, invitati a “ripensarci” – ma invano – dal Comune.
Ente che ritornò alla carica nel 1792 quando si rivolse a due ebrei di Ancona, Moisè e Salomone Levi, affinché venissero in città ad aprire alcuni negozi.
E se oggi usiamo andare al mercato il mercoledì – oltre che il sabato – lo dobbiamo proprio alla presenza degli ebrei che nel 1588 “imposero” quel giorno in quanto il sabato per loro era giornata di assoluto riposo.
Nel ghetto – ha illustrato Zannotti – si entrava dalle porte per via e vicolo Fiorenzuola – dal nome dall’antico governatore romano Fiorenzo, che in quel luogo abitò e che fu responsabile della decapitazione di San Settimio – in corrispondenza delle piazze del Comune, Ghislieri e Colocci.
Uno spazio ben delimitato, da piazza del Comune a piazza Ghislieri, per questo le case si sviluppavano il più possibile in altezza e i vicoli erano stretti.
La sinagoga – in stile sefardita – fu “concessa” ai fratelli Moisè e Emanuele Vivanti nel 1535 e ancora oggi è visibile il portale, mentre all’interno ci sono volte quattrocentesche e, nel sotterraneo, un lungo tunnel – ora impraticabile – che arrivava sino a via Mercatini, fuori dalle mura.
Stando alle documentazioni, anche in quel luogo sacro si «arrivò alle mani» per motivi di attrito tra i frequentatori.
«Una zona del centro storico da rivalutare – ha affermato il consigliere comunale Giancarlo Catani, delegato al turismo – che va inserita a pieno titolo nel percorso storico – culturale della nostra città».