JESI –Le parole possono fare più male di uno schiaffo. E possono avere le stesse conseguenze. È così che giovedì pomeriggio al Pronto soccorso dell’ospedale Carlo Urbani di Jesi una giovane infermiera di triage è stata aggredita verbalmente da una paziente. La professionista, ferita da quelle parole così violente, ha avuto un malore ed è stata presa in carico dagli stessi colleghi.
Un episodio che riaccende il fenomeno delle aggressioni al Pronto soccorso. Ed è accaduto in un pomeriggio di relativa calma, con 10-15 pazienti in attesa, per lo più codici verdi e bianchi, due soli azzurri. Protagonista del grave episodio, raccontato dalla stessa infermiera che ne è stata vittima, una donna sessantenne di Chiaravalle, accompagnata dal 118 per un dolore al polpaccio causato da una lombosciatalgia. «L’ho registrata alle 16.06 – racconta l’infermiera – era un codice verde, poiché lei stessa ha ammesso che quella lombosciatalgia se la trascinava da quindici giorni…». Ma nel vedere che altri pazienti entravano in visita, seguendo l’ordine di priorità dei codici, la signora ha iniziato a spazientirsi e continuamente entrava nella sala triage per lamentarsi dell’attesa. «Era nervosa per l’attesa e la sua ansia cresceva a mano a mano che consultava “dottor Google”, da cui spuntavano le più fantasiose diagnosi. Ho cercato di calmarla, di spiegarle, ma non voleva saperne. Mi sono trovata più volte con questa paziente che non voleva aspettare il suo turno, non accettava il codice assegnatole, continuava a brontolare sul fatto che altri pazienti passassero avanti, che persino dei bambini avessero la precedenza (mentre da protocollo i bambini devono essere mandati direttamente alla Pediatria), e più le spiegavo la priorità in base ai codici, più non mi ascoltava…». Poi alle 20, l’arrivo di una conoscente che ha contribuito a inasprire la situazione. La donna, anziché riportarla alla calma, gettava benzina sul fuoco per accendere la discussione, tanto che sono entrate in due nel triage ipotizzando conseguenze gravissime nel ritardo della diagnosi e rivolgendo una frase carica di odio alla povera triagista, che oltretutto sta attraversando un momento personale già molto delicato, pur senza sottrarsi al lavoro per senso di responsabilità e del dovere. «Le signore hanno contestato ogni mia parola – continua l’infermiera – ma quel che mi ha fatto più male è stata una frase scagliata con aggressività: “spero che tu non abbia gente malata a casa”. Una coltellata per me, che sto vivendo un momento difficilissimo, tanto che poi sono stata male per tutta la notte e il giorno successivo».
L’infermiera ha terminato il turno, ma quelle parole hanno avuto una scia pesantissima. Il senso di malessere che le ha provocato quell’aggressione le ha causato una crisi d’ansia fortissima, tanto da costringerla a interrompere il turno, venerdì. Il medico le ha diagnosticato uno “stato ansioso post-aggressione verbale avvenuta durante l’attività lavorativa provocata da una persona nota”, con una prognosi di 10 giorni.
«Non è la prima volta che le persone ci aggrediscono, ci picchiano e ci minacciano – conclude l’infermiera – è assurdo essere bersaglio di accuse infondate, di cattiverie gratuite come se noi sparassimo i codici a caso, non ci meritiamo di essere trattati senza rispetto».