JESI – «Indubbiamente un’iniziativa degna di attenzione e sottolinea la necessità di uno sforzo collettivo che interessi sia le istituzioni sia la comunità ed i singoli individui, nella consapevolezza che il razzismo non si cancella con un tratto di penna».
Così Giordano Cotichelli, infermiere jesino con un dottorato di ricerca in Sociologia ed Epidemiologia delle disuguaglianze nella salute, commenta la proposta di sostituire il termine “razza” con “tipi umani”, “culture” o “popolazioni”, proposto all’amministrazione da Daniele Massaccesi e Tommaso Cioncolini, rispettivamente presidente del consiglio comunale e consigliere di Jesinsieme.
«Una proposta che si riferisce al razzismo montante nel nostro Paese e si correla alle tragedie del passato fra cui, non ultima, la promulgazione delle leggi razziali fatte dallo stato fascista» continua Cotichelli. «E’ complesso, però, pensare di sostituire qualcosa che non esiste, come la razza, con qualcosa di simile quale la definizione “tipi umani” che, nei fatti vuol dire tutto, ma non vuol dire nulla, se non sottolineare di nuovo differenze fra persone in base ai loro caratteri somatici che, diventerebbero di nuovo elemento di valutazione comportamentale, e quindi razzismo a tutti gli effetti. Allo stesso modo le parole cultura e popolazione sono così generiche che potrebbero portare a forzature interpretative quali: la cultura africana, la popolazione asiatica, la cultura musulmana, etc».
Anche il termine “etnia” secondo lo jesino andrebbe analizzato nel dettaglio, come fatto dagli antropologi che ritengono questa parola “veicolante di concetti discriminatori tendenti a categorizzare gruppi umani in base a religione, cultura, tradizioni, luoghi di provenienza”. «Non a caso – continua Cotichelli – nel Codice deontologico degli infermieri, in una versione poi modificata, figurava la parola “etnica” per sottolineare un comportamento non discriminatorio. Il termine però fu tolto, perché ritenuto ambiguo e controproducente. Se l’intenzione dell’ordine del giorno presentato è quella di togliere spazio a comportamenti ed idee razziste, basta sottolineare nel dibattito l’importanza di non dover categorizzare l’essere umano, o quanto meno farlo il meno possibile». Una questione complessa dunque, ma intrigante: «Basta comprendere come l’appartenenza comunitaria o culturale o religiosa, e la stessa identità individuale, debbano essere considerati quali elementi utili a visioni solidaristiche ed inclusive, utili a valorizzare
differenze e a favorire incontri, ma ancor più funzionali a realizzare concretamente l’uguaglianza fra le persone, a partire dalla considerazione delle risorse e delle criticità di cui ognuno di noi è portatore. Un’uguaglianza che tenga conto dei differenti bisogni produce equità sociale e combatte le discriminazioni».