Jesi-Fabriano

Jesi, intervista a Diego Fusaro: la fine del Cristianesimo è il trionfo del nichilismo moderno

Lo scrittore e opinionista ha presentato il suo nuovo libro: una critica pungente alla modernità tra Marx, Hegel e Pasolini all'interno della rassegna letteraria Hemingway Investigation

JESI – Ieri sera 7 agosto, nella suggestiva cornice di Piazza delle Monnighette, Diego Fusaro ha presentato il suo ultimo libro, “La fine del Cristianesimo. La morte di Dio al tempo del mercato globale e di Papa Francesco” (Piemme edizioni). L’evento, parte della rassegna letteraria Hemingway Investigations organizzata da Davide Zannotti, Cristiana Cacciani e patrocinata dal Comune di Jesi, ha attirato il pubblico delle grandi occasioni. Fusaro, filosofo e scrittore noto per le sue posizioni controcorrente, ha offerto una disamina approfondita della crisi del cristianesimo nell’era del capitalismo globale. La sua analisi, densa di riferimenti filosofici e storici, ha toccato i temi della desacralizzazione e della scristianizzazione dell’Occidente, evidenziando come il mercato globale e la tecnoscienza abbiano progressivamente eroso i valori tradizionali e spirituali. Fusaro ha sottolineato il ruolo della Chiesa cattolica e di Papa Francesco in questo contesto di trasformazione culturale. «Joseph Ratzinger ha rappresentato un coraggioso ultimo argine mentre la neo-chiesa di Bergoglio sta evaporando nel tentativo di adattarsi al mondo moderno», conclude l’autore e citando Dostoevskij ammonisce: ucciso Dio muore anche l’uomo!

Davide Zannotti, titolare dell’Hemingway Cafè, mentre presenta Diego Fusaro


Dottor Fusaro, il suo libro si intitola “La fine del cristianesimo”. Quali sono, a suo avviso, i principali fattori che hanno portato a questa “fine” nel contesto del mercato globale?

«L’evaporazione del Cristianesimo si spiega soprattutto in ragione dell’incompatibilità tra la religione della trascendenza e l’immanentismo assoluto del capitalismo globalizzato. Quest’ultimo produce a propria immagine e somiglianza la dissacrazione del sacro e la sdivinizzazione del mondo. Il mondo a forma di merce non conosce zone franche e spazi di sacertà, perché tutto deve essere ridotto alla forma merce. Il cristianesimo, per parte sua, risulta strutturalmente incompatibile con il mondo del capitalismo assoluto e totalitario. Così si spiega a mio giudizio la guerra alla religione condotta dall’odierna civiltà dei mercati. La morte di Dio evocata da Nietzsche deve essere posta in relazione con il trionfo del capitalismo studiato da Marx. Dio muore in un mondo in cui tutto e tutti diventano merce circolante».

Lei critica spesso il neoliberismo e il capitalismo globale. Quali alternative considera più promettenti e realizzabili in un contesto contemporaneo? Esistono esempi pratici di società o modelli economici che incarnano queste alternative?

«La mia critica radicale del capitalismo, sviluppata soprattutto a partire dal mio studio “Minima mercatalia”, si basa non tanto sulla contrapposizione del capitalismo stesso a modelli esistenti, quanto sulla critica radicale del mondo mercificato, al quale contrappongo l’ideale ragionevole di una società altrimenti strutturata, in cui il fine sia l’uomo e non il profitto, in cui la sovranità sia del Popolo e non dei mercati, in cui la libertà di tutti diventi realtà. Detto altrimenti, la mia critica del totalitarismo capitalistico non approda all’elogio di altre figure storiche del totalitarismo, che critico egualmente, pur riconoscendo che nessun totalitarismo può eguagliare quanto a radicalità e a carattere opprimente l’odierno sistema dei mercati e del neoliberismo concorrenziale».

Nel contesto del nichilismo relativista e della volontà di potenza tecnoscientifica, come vede il futuro della spiritualità e dei valori umani?

«L’odierno sistema del capitalismo assoluto si fonda su relativismo nichilista, mettendo in congedo la verità filosofica e il dio religioso. Nel mondo a forma di merce, tutto diventa relativo al nulla della forma merce, innalzata a unico valore di riferimento. Personalmente, sulla scorta di Hegel, ritengo che la religione sia una figura fondamentale dello spirito assoluto, proprio come l’arte e la filosofia, e in quanto tale non possa mai tramontare, pur vivendo momenti di oscuramento come quello del nostro presente. Per questo sono convinto che l’arte, la religione e la filosofia restino di tre baluardi fondamentali dell’opposizione al nichilismo della forma merce». 

La sua visione dell’umanità ideale si oppone all’idea dell”homo resiliens’. Quali tratti dovrebbe possedere un ‘homo rebellis’ per affrontare le sfide attuali?

«Il soggetto a cui faccio riferimento nei miei lavori non è il soggetto cartesiano che si limita a calcolare e ad accertare il mondo, non è il soggetto di Deleuze, pura macchina desiderante funzionale alla civiltà dei consumi. È invece il soggetto dialettico e rivoluzionario messo a tema dalla filosofia idealistica di Fichte e di Hegel e poi diversamente di Marx. Si tratta di un soggetto consapevole del fatto che l’io si pone come determinante il non io (Fichte); un soggetto che sa che bisogna pensare la sostanza come soggetto (Hegel), e ancora che è consapevole del fatto che il mondo non deve essere soltanto interpretato ma deve altresì essere trasformato (Marx). La prima rivoluzione da compiere è di tipo ontologico, poiché dobbiamo mutare l’immagine del mondo tornando a concepire il reale come processo storico e come esito inesauribile del nostro agire. Fatum non datur».

Lei ha discusso della ‘neutralizzazione della lotta di classe’ nel contesto neoliberista. Come possiamo riattivare la coscienza di classe e promuovere una maggiore solidarietà in una società frammentata?

«Del tema della lotta di classe mi sono occupato nel mio studio “storia e coscienza del precariato”. La tesi di fondo è che oggi la classe dominata è composta dal vecchio proletariato marxiano e dalla vecchia borghesia o ceto medio che dir si voglia, nel frattempo precipitato nel baratro grazie ai processi di globalizzazione capitalistica. La coscienza di classe si guadagna prendendo consapevolezza della propria posizione nel Cosmo delle contraddizioni capitalistiche, divenendo cioè consapevoli che oggi il conflitto avviene tra una aristocrazia finanziaria globalista e una massa nazionale popolare subalterna, composta appunto dal proletariato e dal ceto medio. Destra e sinistra sono solo le due propaggini con cui l’alto domina il basso tenendolo diviso: la nuova conflittualità politica, direi anzi il nuovo spazio della politica, è quello del conflitto tra alto e basso, tra oligarchia cosmopolitica e precariato. La lotta di classe non è affatto venuta meno, come ripetono in maniera niente affatto innocente gli araldi del pensiero unico di completamento del capitalismo globalizzato. La lotta di classe esiste oggi come massacro di classe a senso unico gestito dall’aristocrazia finanziaria contro le masse sofferenti. Per questo oggi è di vitale importanza riorganizzare le masse dominate in una soggettività rivoluzionaria e antagonistica».