JESI – Torna sui banchi dopo 50 anni. Nella stessa università, Camerino, per conseguire la laurea magistrale in Fisica (o meglio in “Phisics” perché a Camerino quella facoltà è solo in inglese) e studiare il cervello umano. La sua vera missione, conoscere e quindi combattere la malattia di cui è affetto suo figlio Natan, l’autismo. È la commovente storia dell’ex professore di matematica Randolfo Frattesi, 75 anni, pilastro e decano dei docenti jesini. Oggi il professore – come lo chiamano tutti – è direttore degli Uffici Beni culturali della Diocesi di Jesi. Qualche giorno fa, la soddisfazione della seconda laurea. Una laurea conseguita solo per amore.
«Tutto è nato due anni fa – ci racconta Randolfo Frattesi – quando ho voluto prendere di petto la situazione di mio figlio Natan, che ha 25 anni, e di tutti quelli che si trovano nella sua stessa condizione. La sua è una diagnosi tanto vaga quanto tremenda che va sotto la definizione di “Disturbo generalizzato di tipo autistico”… ».
Quando avete scoperto la malattia?
«Fino a circa un anno e mezzo di vita era completamente normale. Poi la madre, mia moglie, ha incominciato a nutrire dei sospetti quando il bambino incominciava a tardare nel linguaggio e nella comunicazione. A due anni, la sentenza granitica, dal centro per l’autismo di Fano. L’abbiamo portato da diversi specialisti fino alla Clinica Universitaria di Neuropsichiatria Infantile dell’Università di Bologna. Qui gli hanno fatto tutte le analisi possibili e immaginabili del caso. Ma la sentenza di Fano era rimasta tale e quale. Ora il ragazzo ha quasi 25 anni e si trova in una struttura altamente specializzata per uomini affetti da autismo grave, situata in un paesino nel Fermano».
Questa laurea è per lui? Per aiutarlo?
«Faccio tutto per lui, perché l’amore per un figlio ti porta a smuovere le montagne se necessario».
Perché proprio Fisica e non piuttosto Medicina o Chimica?
«Fondamentalmente perché prima delle cellule il nostro corpo è formato da particelle elementari, atomi e molecole. Quindi partire dalla biofisica per arrivare alla medicina potrebbe portare a cure, terapie, soluzioni scientifiche per migliorare le condizioni di salute e di vita di Natan e di chi è stato colpito da alterazioni patologiche delle funzioni cerebrali».
Che tesi ha discusso?
«La mia tesi si intitola “The Fractal Universe” e si chiude con un sillogismo aristotelico di tipo ipotetico che lascia aperta questa dimostrazione: «Se l’universo intelligente può essere studiato attraverso la geometria della natura, cioè quella frattale, e la stessa cosa si può fare del cervello umano, come dimostrano l’EEG (elettroencefalogramma), la fMRI (risonanza magnetica funzionale), il BOLD (il segnale che riflette le variazioni locali e transitorie nella quantità di ossigeno trasportato da emoglobina in funzione dell’attività neuronale del cervello) ecc., allora ci può essere una corrispondenza biunivoca tra il cervello umano e l’universo? Questa, a mio avviso è una grande sfida per tutta l’umanità nel terzo millennio. Perché se ciò potesse essere dimostrato, allora studiando l’universo attraverso le leggi della cosmologia e della meccanica quantistica, di pari passo si può arrivare alle leggi che governano la biofisica».
Ha mai pensato che poteva non farcela? Ha pensato a qualche possibile défaillance?
«Certo, infatti non ho voluto nessuno della mia famiglia accanto ma solo gli amici storici, quelli che – a fronte di qualche possibile errore, soprattutto nella pronuncia inglese – avrebbero potuto riderne poi con me».
Camerino è la sua ex università: come è stato tornare?
«Bello. Devo confessare che giungere a questa seconda laurea per me è stato un puro e semplice corso di aggiornamento, in quanto seppure molti degli stessi esami li avevo già dati in passato, li ho dovuti ripetere per il fatto che in tutto questo tempo i programmi si sono estremamente evoluti. Diverse teorie studiate ora, l’altra volta non erano ancora nemmeno state formulate. Con l’aiuto e l’assistenza dei Professori, i quali oltre alla enorme competenza e altissima professionalità hanno mostrato tanta pazienza, sono arrivato a prender questa seconda laurea. Ripeto tanta pazienza perché un conto è insegnare a un ragazzo e un conto è insegnare a un ultrasettantenne».
Che emozione è stata la discussione della tesi, 50 anni dopo la prima laurea?
«Avevo il cuore gonfio, perché dentro di me facevo il paragone tra quei meravigliosi ragazzi che hanno discusso la loro tesi insieme a me e che presentavano le loro elaborazioni scritte e mio figlio, loro coetaneo, costretto a stare in una struttura sanitaria. Ma ciò non mi ha scoraggiato, anzi mi ha dato un’ulteriore carica per proseguire nella ricerca».
Adesso, che si fa?
«Ora che mi sono aggiornato sono determinato a continuare nello studio per scoprire cose nuove inedite. Perciò, se possibile, vorrei continuare con un dottorato di ricerca sempre in questa “mia” Università. Per questo desidererei che insegnanti, professionisti sanitari del settore della psicologia, neuro psichiatri raccogliessero il mio invito di formare un Team pluridisciplinare per esplorare il “Brain” e per saper meglio affrontare le sue degenerazioni, quali l’Alzheimer, il Parkinson, l’autismo etc».
Quindi questa laurea è più una missione per lei?
«Alla mia età mi sono riproposto di combattere su due fronti: il primo è quello di far sorgere una struttura sanitaria gemella a quella che ospita mio figlio, nella mia città e naturalmente sotto la stessa gestione, sia per la sua competenza specifica di saper affrontare certe patologie, sia per la propria serietà di gestione. Ho già individuato due possibili sedi che potrebbero ospitare la struttura, ma servono i fondi necessari per ristrutturare, in base ai parametri richiesti per questo tipo di patologia».
Ha parlato di due fronti di battaglia…
«L’altro come accennavo all’inizio di questa chiacchierata è quello di approfondire lo studio del cervello umano attraverso la Fisica. Quindi partire dalla biofisica per arrivare alla medicina, studiare la malattia di mio figlio e poterlo curare, migliorare la sua vita e quella di chi è affetto dalla stessa patologia».
È una missione certamente alimentata dal grande amore per suo figlio, ma non la spaventa un po’ il fattore tempo?
«Affatto. Non mi mette paura la mia età un po’ avanzata. Abramo è diventato padre di molti popoli a quasi cento anni».