JESI – Quattro mesi da medico nel «deserto più grande del mondo». Un deserto bianco, quello antartico del Polo Sud. Fra «colori e viste mozzafiato. Mai visto un blu del cielo così intenso». Ma soprattutto con la «difficoltà e responsabilità di lavorare, e essere un punto di riferimento per mesi, in un ambiente isolato, dove in caso di emergenza i tempi per l’evacuazione di un ferito verso il primo ospedale sarebbero almeno di 12 ore, meteo permettendo. Un’esperienza che mi ha fatto capire di più rispetto a quella che è la mia professione e questo mi ha sorpreso». A raccontare questa fetta importante e affascinante di vita, quattro mesi fra la metà di ottobre 2017 e la metà di febbraio 2018, è il dottor Andrea Molesi: Anestesista – Rianimatore dell’Ospedale “Carlo Urbani” di Jesi e per l’appunto, nel corso di quella che è stata l’ultima “estate” in Antartide, nell’emisfero australe, medico dell’ENEA (Ente Nazionale Energie Alternative) nella base italiana Mario Zucchelli di Baia Terra Nova.
Spiega il dottor Molesi: «Ogni anno l’ENEA apre un bando per reclutare un anestesista rianimatore e un chirurgo d’urgenza al seguito della Campagna Antartica (l’ultima era la trentatreesima, ndr) del Programma Nazionale di Ricerche in Antartide. Lavoro all’ospedale di Jesi dal 2008, sono istruttore di riattivazione cardio muscolare. Mi è sempre piaciuta l’attività in montagna: da anni lavoro come medico per il soccorso alpino e speleologico e nell’elisoccorso, mi sono perfezionato in medicina di montagna e in ambienti impervi, con la Protezione Civile sono intervenuto per eventi come il sisma ad Amatrice. Inoltre sono medico per la Croce Rossa militare italiana, con cui ho seguito il corso per medicina tattica in ambiente ostile. Proprio la Marina Militare mi ha segnalato all’ENEA». Di lì la partenza. «Voglia di fare questa esperienza- spiega il dott. Molesi- spirito di avventura e sicuramente un po’ di incoscienza. Sicuramente, un grazie a mia moglie, che con due figli piccoli mi ha lasciato andare. E un grazie all’azienda e al dottor Bernacconi, direttore del mio reparto all’Urbani, che hanno risposto in maniera favorevole alla mia richiesta». Sono proprio il dottor Tonino Bernacconi, la direttrice medica di presidio ospedaliero dott. Virginia Fedele e il direttore d’Area Vasta 2 Maurizio Bevilacqua a evidenziare «la conferma dell’alta qualità delle professionalità presenti al Carlo Urbani, di cui siamo orgogliosi».
In Antartide, sterminato continente di ghiaccio grande una volta e mezza l’Europa, sono una cinquantina i Paesi che hanno proprie basi di ricerca. L’Italia ha la base permanente Concordia, condivisa coi francesi, all’interno e sul Mare di Ross appunto la Zucchelli, attiva nel periodo dell’estate antartica. Il dottor Molesi ci è arrivato con un Hercules C130 dalla Nuova Zelanda. «Si atterra sul pack, unico modo di arrivare insieme alla nave rompighiaccio, che però ha modo di muoversi solo per poche settimane, fra la metà di dicembre e l’inizio di gennaio». Condizioni estreme, «Il 99% dell’Antartide è ghiaccio. Temperature fino a oltre 90 gradi sotto lo zero, che con venti che soffiano a 360 chilometri orari sono percepite anche oltre i cento gradi sotto lo zero. Ma nell’estate artica risalgono: il giorno di Natale alla base eravamo fra zero e meno 5 gradi, ci siamo anche potuti concedere un barbecue all’aperto».
Racconta Molesi: «Biologia marina, zoologia, microbiologia, ecologia, astrofisica, vulcanologia, geologia. Cercatori di meteoriti che, neri sul bianco, in Antartide possono essere individuati con più facilità. Ricerche e ricercatori di tutti i tipi e in tutti i campi sono al lavoro in quelle zone. Le loro attività sono seguite per la parte logistica dagli incursori della Marina Militare. Un lavoro difficile, dove è necessario fare costantemente attenzione. A me è capitato di cadere in acqua e di essere recuperato da un gatto delle nevi». Quanto all’attività medica, «per fortuna nessuna emergenza. Medicazioni per piccoli traumi da lavoro, molto frequenti alla luce del fatto che con poco tempo a disposizione i turni sono per tutti massacranti e senza riposi. Il rischio epidemie da tener d’occhio, in un ambiente isolato in cui convivono 90 persone. Abbiamo avuto una piccola epidemia di virus gastro intestinale, che ha colpito una dozzina di soggetti, e un paio di casi di influenza. Nessuna necessità di evacuare feriti». L’insegnamento principale: «Saper gestire e fare i conti con l’isolamento. Imparando a gestire un ruolo di medico che tanto più in quelle condizioni ti rende un punto di riferimento costantemente sollecitato. E ho anche imparato che, pure nella nostra attività di soccorso all’esterno dell’ospedale tante cose, che qui sembrano fondamentali, non hanno in realtà l’importanza che crediamo».
E le domande dei suoi figli? «Quasi tutte sui pinguini- sorride il dottor Molesi- me la sono cavata portando loro dei peluche».