JESI – Dimissioni anticipate rispetto alla scadenza naturale del mandato dalla carica di presidente di Confindustria Ancona da parte di Pierluigi Bocchini. Quindi l’annuncio della uscita, oggi 24 ottobre, di Clabo da Confindustria. Una tempesta scatenatasi intorno alla successione di Bocchini – presidente negli ultimi quattro anni e vice di Claudio Schiavoni nei precedenti tre – alla guida della associazione provinciale degli industriali. Scelta che sarebbe infine ricaduta sulla designazione del Ceo di Diasen Diego Mingarelli (entrerà in carica a novembre) e le cui modalità sono state fortemente criticate e contestate da Bocchini. «Lo ammetto: non avrei voluto concludere così – le parole del presidente uscente affidate ai social – ho dedicato 7 anni a Confindustria Ancona, ne sono orgoglioso e porterò con me ogni singolo istante di questa esperienza. Tra pandemie, guerre e crisi di ogni genere ho cercato di far sentire alta la voce degli imprenditori e delle imprese della nostra provincia. Non ho mai accettato compromessi al ribasso anche al costo, a volte elevato, di subirne personalmente le conseguenze. Con coerenza ho scelto di uscire senza compromessi e raccontando la verità. Perché Confindustria è e deve rimanere dialogante ma mai subalterna alla politica. E proprio per questo, chi la rappresenta non può accettare di firmare cambiali che prima o poi dovranno essere onorate».
Dimissioni anticipate, Clabo che esce da Confindustria: che accade?
«Accade – risponde Pierluigi Bocchini – che in una associazione come Confindustria si rimane se vi è una condivisione di ideali e di valori. Se questa viene meno, è allora inutile continuare a restare oltre alla presidenza o dentro Confindustria. Coerenza impone di uscire, se si pensa che il rimanere quei valori non li rappresenta più».
Cosa non le è andato giù?
«Quando, come mai era accaduto prima, si condiziona una campagna per il rinnovo della presidenza coinvolgendo la politica e Confindustria nazionale per indirizzare il voto degli associati, con decisioni dall’alto. Arrivando a designare alla presidenza figure che sarebbero ineleggibili e a distorcere lo statuto stesso dell’associazione. Basti pensare che da un giorno all’altro, subito dopo le mie dimissioni, sono stati letteralmente epurati dal Consiglio direttivo due vice presidenti, Andrea Lardini e Giovanni Fiorini, che avevano fatto parte della mia squadra».
Come si spiega quella che ritiene sia stata una campagna di ingerenze esterne nella scelta del nuovo presidente?
«Non do spiegazioni, non sta a me darne. Mi limito a rilevare quanto è accaduto. Colleghi imprenditori mi hanno rivelato e mostrato le telefonate ricevute da onorevoli, tutte con un indirizzo chiaro e univoco. Non era mai accaduto prima nella storia dell’associazione. E questo significa allora che ci si è assoggettati alla politica e che il rapporto tra imprese e politica non è quello alla pari che dovrebbe essere in una normale ottica di rappresentanza. Ma è di subalternità. Se si chiede aiuto, poi non può che essere così».
E ora che avviene?
«Non credo avverrà nulla. Confindustria nazionale è ora completamente schierata e Roma comanda anche sul territorio».
Reazioni alla sua scelta?
«Fin dal giorno dopo ho ricevuto tanta solidarietà, da parte di chi resta convinto di certi valori, di certi ideali, di un certo modo di fare rappresentanza delle imprese. Certo in questi anni, anche dentro Confindustria Ancona, c’è chi l’ha condiviso e chi meno».
Il suo stato d’animo personale?
«In primo luogo è forte la delusione. Speravo in altro, al di là di tutto. Un aneddoto: appena eletto mi trovai a gestire la situazione della spaccatura con Pesaro e Confindustria Marche Nord. Anche allora, come oggi, non ero allineato sulle posizioni nazionali dell’associazione: Ancona e le Marche si erano schierate per la presidenza nazionale non con Bonomi, che era stato poi eletto, ma col candidato concorrente. Mi sentii in dovere di chiamare personalmente Bonomi e ricordo che trovai in lui quell’equilibrio, quella correttezza, quel senso sano della rappresentanza delle aziende che mi hanno fatto innamorare di Confindustria. Una volta presidente, mi dimostrò Bonomi, si è presidenti di tutti. E poi provo dispiacere e preoccupazione, perché se questa è la situazione, occorrerà trovare un’altra maniera di rappresentare le imprese».