Jesi-Fabriano

Jesi, con Edda allo Spop Festival del Pergolesi c’è anche Paolo Fioretti

Il musicista di Camerano aprirà lo show in programma stasera, domenica 23 aprile, alle 21 con il suo nuovo progetto con testi in italiano. Lo abbiamo intervistato

Paolo Fioretti

ANCONA – Questa sera, domenica 23 aprile, alle 21 al Teatro Pergolesi di Jesi c’è il concerto di Edda, cantautore italiano la cui performance per lo Spop Festival sarà preceduta da quella di Paolo Fioretti, trentatreenne musicista di Camerano, che porterà sul palco del Pergolesi le sue canzoni. Lo farà insieme al fratello Daniele Fioretti (chitarra elettrica e lap steel), a Manuele Marani (contrabbasso e violoncello) e a Fernando Casalino (batteria). Stavolta niente Varnelli’s o Gentlemens, niente blues o rock, niente rivisitazioni di grandi classici che hanno fatto la storia della musica nera. Piuttosto il Paolo Fioretti cantautore che scaturisce da tutto ciò che ha fatto e vissuto nel suo passato, non solo musicale. Una ricerca delle radici, dell’autenticità, un mettersi a nudo che racconta lui stesso: «Presento i miei brani, scritti e composti da me, con testi in italiano. Una sfida che ho raccolto proprio per dare un senso che mi piaccia alla mia musica e alle parole che canto. Con coerenza anche rispetto al mio background, ma una sfida nuova, nei testi, per non risultare banale. Mi affiancheranno amici musicisti con cui ho già condiviso altre strade. Ho scelto quelli che hanno con me maggiori affinità mentali. Mi sono trovato talvolta a suonare con gente superlativa ma poi mentalmente non ero collegato, e questo rischia di inficiare la performance. Loro, invece, sono tutti fratelli».

Un progetto solista con testi in italiano, per un Fioretti in declinazione cantautorale, più intimo di quanto non risulti nelle altre versioni: «A un certo punto della mia vita ho sentito che avevo bisogno di dire qualcosa. E visto che suono e amo la musica ho pensato che fosse arrivato il momento di affrontare un discorso personale, di assumermi la responsabilità di stare sul palco avendo qualcosa da dire e da raccontare. Così prima quasi per gioco e poi per sfida ho pensato di affrontare questo lavoro scrivendo testi in italiano, un’esigenza personale liberatoria. Esprimere le mie canzoni al pubblico mi fa sentire di aver fatto qualcosa di personale e di intimo. Mi sono reso conto, e questo è l’aspetto liberatorio, che dopo i piccoli concerti fatti finora, al termine mi potevo guardare allo specchio e dire ‘questo sono io’. Una sfida che non la vinco se piace al pubblico, la vinco se salgo sul palco e canto le mie canzoni».

Al momento Paolo Fioretti ha pronte una decina di canzoni, al Teatro Pergolesi ne proporrà sette. Temi personali, sofferti, come spiega ancora l’autore: «Tutto è nato da una rinascita personale che ho vissuto dopo la morte del mio migliore amico. Questo è il miglior modo per dire le cose che ho dentro, metterle in musica». Un punto di contatto con quanto fatto con i Varnelli’s e con i Gentlemens c’è, comunque: «C’è l’attaccamento alle radici, con i Varnelli’s benché sia musica che deriva da qualcun altro, cerchiamo sempre di fare in modo che non sia scontata. E anche con i Gentlemens, musica decisamente rock con testi in inglese, c’è sempre una ricerca di verità, nei testi, e di autenticità. Sono queste le cose in comune: cerco sempre di creare un’autenticità che sia mia, piuttosto che ricoprire il ruolo di qualcun altro».

E poi c’è la performance dal vivo, presentando le proprie canzoni che escono dai multitraccia e dai supporti che le contengono, asettiche, per giungere al pubblico vive, attraverso la voce del cantante e le mani di chi le esegue: «E’ un’esperienza liberatoria: queste canzoni, un po’ perché sono personali e un po’ perché ti mettono a nudo, quando le registri restano in un mondo circoscritto e protetto. Portarle al pubblico rappresenta un atto liberatorio perché quelle parole e quelle musiche vengono lasciate all’uso di qualcun altro, con la speranza che possano piacere come piacciono a me. Quel malessere di cui scrivo può essere comune ad altri: credo fermamente che tanti di noi siano accomunati da quelle sensazioni dolorose che si tende sempre a mettere sotto il tappeto. In realtà quando si affrontano determinati dolori si tocca il fondo e poi non si può fare altro che risalire, rinascere. E insieme lo si può fare nel modo migliore».

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