JESI – Salvaguardare l’incisione di Benito Mussolini all’Anagrafe. La richiesta è arrivata ieri dalla consigliera comunale, Chiara Cercaci, a cui ha risposto il vicesindaco Luca Butini, concordando con l’esponente di maggioranza sulla rilevanza di tale testimonianza storica. Ma l’Anpi non ci sta.
«La sezione Anpi di Jesi – si legge nella presa di posizione – esprime il suo dissenso su quanto sostenuto dalla Consigliera Cercaci in merito al restauro della scritta fascista rinvenuta nei locali degli uffici demografici del Comune di Jesi. Ricordiamo alla Consigliera che a Jesi abbiamo già numerose testimonianze storiche che riguardano l’epoca della ditattura fascista e le sue nefaste conseguenze: una pietra d’inciampo a testimonianza delle vergognose leggi razziali fasciste, abbiamo fori di proiettili ancora visibili nel muro dove sono stati fucilati dai fascisti di Salò i partigiani Panti e Magnani, abbiamo i cippi Martiri XX Giugno e Cannuccia dove sono stati uccisi partigiani e civili. Voler conservare ed addirittura restaurare quella scritta, all’interno di un luogo pubblico istituzionale, dove non possono essere presenti simboli che non siano propri della nostra Repubblica, significa avvalorare la reminiscenza di un sistema dittatoriale che al contrario merita una copiosa passata di vernice, per rispetto di chi quella dittatura l’ha subita e di chi oggi crede ancora fermamente in valori democratici e progressisti».
Altre memorie, a detta dell’Anpi, «andrebbero preservate e conservate come appunto i luoghi degli eccidi citati o la targa scomparsa e non più ritrovata intitolata al giovane partigiano jesino Ivo Pasquinelli a cui era stato dedicato il piazzale dove ora sorge la torre Erap. Riguardo a quanto citato a sproposito sull’iniziativa dell’Anpi Recoaro riteniamo sia una frase funzionale al suo pensiero ma non rispondente alla realtà, viene infatti citata solo una porzione minima di un progetto molto più ampio e complesso di recupero di luoghi della Liberazione che culmina con una bacheca apposta accanto alla scritta fascista che recita testualmente “La scritta in contrada Cischele, una delle poche rimaste in provincia di Vicenza, voleva essere una manifestazione di orgoglio nazionale a sostegno della politica di aggressione a fianco della Germania nazista ma è sopravvissuta a testimoniare il fallimento del Fascismo che anche per mezzo di tanta retorica ha portato l’Italia alla tragedia della guerra”».
«Di storia si tratta – ha avuto modo di dire l’assessore alla cultura, Luca Butini -. La scritta è emersa in modo casuale, non a seguito di lavori ma a causa dei problemi di intonaco. Abbiamo subito chiesto alla Soprintendenza per i Beni Culturali come muoverci. Due le soluzioni: consolidare la porzione emersa e ricoprirla con l’intonaco, oppure lasciarla visibile alla cittadinanza. I lavori, al momento, sono fermi, ma verrà esaminato il resto del muro per capire se è ancora presente anche la prima parte della frase. È la testimonianza di un modo di comunicare in un determinato periodo. Al di là dell’ideologia che rappresenta, si tratta comunque di storia. Attendiamo il parere della Soprintendenza. Gli interventi di riqualificazione sono sempre anticipati, comunque, in questi casi, da studi preliminari per indagare la presenza di tali incisioni».
«Restiamo senza parole – tuona il Pd – nell’apprendere dal Vicesindaco che questa amministrazione comunale ritiene di dover mantenere un motto del nefasto periodo fascista, esposto in un edificio di proprietà comunale sede di un ufficio pubblico. Per il Vice Sindaco questo slogan fascista sarebbe una testimonianza di esempio di comunicazione del periodo fascista e quindi da conservare. Crediamo che siano altre testimonianze che dovrebbero essere sempre presenti nelle nostre menti ricordate e tramandate e sono quelle che ci raccontano di leggi razziali, massacri di civili, di violenze gratuite, di soprusi e dei tanti giovani soldati morti in guerra. Queste si che possono evitare di commettere nuovamente errori costati tantissimo al nostro popolo e alla nostra città. A Jesi di queste testimonianze ne abbiamo diverse, come ricorda anche l’ Anpi. Abbiamo i fori dei proiettili ancora visibili nel muro dove sono stati assassinati, dai fascisti, i partigiani Magnani e Panti, come pure le lapidi dei cippi Martiri XX Giugno e Cannuccia luoghi di tortura e fucilazione di partigiani e civili.
Al di là del parere della sovraintendenza pertanto, il motto fascista sul muro di un edificio comunale va ricoperto. Non sono certamente questi i simboli della nostra Repubblica e dei nostri valori e della nostra Democrazia. Come la Costituzione Repubblicana e la storia raccontano ed insegnano».