JESI – A quasi due anni dalla sua morte la Procura di Ancona ha chiesto il processo per il pusher che fornì il metadone letale a Moise Tagoma, 25 anni, congolese. Il giovane era stato trovato morto a Jesi, in un appartamento di via Esino, il 29 aprile 2020, dopo una serata passata insieme agli altri inquilini nella quale si sarebbe fatto uso di droghe.
Il pm Rosario Lioniello ha chiesto il rinvio a giudizio per il 32enne che aveva fornito il metadone al ragazzo. Sulla boccetta era stato trovato il suo nome. Anche dai cellulari era emerso che i due avevano un appuntamento e le telecamere di un bar avevano ripreso mentre avveniva la cessione della boccetta. Adesso per l’indagato si attende che venga fissata l’udienza preliminare. I familiari si erano dati molto da fare perché secondo loro però bisognava scavare oltre. Anche sulle persone che vivevano nella stessa casa di Moise, i coinquilini, che hanno dato l’allarme solo alla sera, nonostante il ragazzo stava male già dalle 10 di mattina. La sorella della vittima si è rivolta a “Le Iene” perché temeva che non si fosse fatto abbastanza per il 25enne solo perché straniero.
«Lo scenario era indescrivibile, i ragazzi erano sotto l’effetto di qualche sostanza e non ci capivano niente – aveva detto la sorella -. Mi ricordo bene le parole dei carabinieri e del 118 che ci dicevano: «sicuramente se ci avessero chiamato prima si sarebbe salvato». Carabinieri, ambulanza e gli addetti delle pompe funebri se ne andarono, lasciandoci lì da soli insieme a quei ragazzi, senza neanche mettere sotto sequestro la casa per indagini, anzi permettendo ad alcuni di loro di poterci vivere liberamente per i mesi seguenti. Successivamente verso i primi di maggio è stata fatta l’autopsia ordinata dalla Procura. L’esito ha stabilito che Moise è morto per aver assunto una dose letale di metadone. Quelli che dovevano essere suoi amici hanno perso tempo improvvisando massaggi cardiaci e tirandogli dell’acqua addosso invece di allertare i soccorsi che l’avrebbero salvato». I ragazzi erano stati ascoltati dai carabinieri e avrebbero cambiato le dinamiche dei fatti più volte.
Moise era ospite – insieme a altre tre persone – a casa di un cugino. Alle 21 del 29 aprile è arrivata una telefonata in casa della sorella, era una parente della Francia, che chiedeva se era vero che Moise era morto e per quale motivo non le avevamo detto niente. In casa nessuno, a Jesi, aveva ancora avvertito della morte di Moise appresa poi solo andando sul posto e trovando i carabinieri e l’ambulanza.
Moise viene descritto dalla sorella come era un ragazzo allegro, affettuoso, altruista, scherzoso, alla mano, di cuore. Durante la settimana lavorava sempre, ma nel fine settimana gli piaceva passare del tempo con la sua famiglia e come tutti i ragazzi della sua età divertirsi con i suoi amici andare a cena fuori, in discoteca, al cinema.