Jesi-Fabriano

Jesi, a Palazzo Pianetti c’è “Archeoplastica”: i rifiuti di oggi letti come i reperti della nostra civiltà del futuro

«La maggior parte di ciò che gli archeologi scavano sono cose buttate dell’antichità: affianchiamo ai rifiuti in plastica reperti che per funzione, estetica o colore possono associarsi a oggetti del passato». Con lo zampino di Caparezza

JESI – “Archeoplastica. Storie di scarti e riusi di civiltà”: si inaugura venerdì 11 luglio a Palazzo Pianetti (ore 18) la mostra che ha l’intuizione di affiancare i rifiuti di ieri e quelli oggi. Ovvero, da un altro punto di vista che fa riflettere, i reperti archeologici di oggi e quelli del futuro. «Perché la maggior parte di ciò che noi archeologi scaviamo sono rifiuti, le cose buttate dell’antichità» spiega Ilaria Venanzoni, della Soprintendenza Archeologia e Belle Arti e Paesaggio di Ancona e Pesaro Urbino che collabora, insieme ad poi Ata Rifiuti, Università Politecnica delle Marche, Museo Statale Tattile Omero, azienda Remaplast, all’iniziativa coordinata dai Musei Civici di Jesi. «Se oggi mostriamo pezzi di ceramica, cioè terra, cotta magari 3mila anni fa, ciò che i nostri colleghi troveranno e mostreranno sarà plastica, che ha durata ancora più lunga. E allora abbiamo lavorato insieme per accostare ai rifiuti in plastica recuperati dei reperti che per la funzione, magari un balsamario che può essere assimilato a un nostro flacone di shampoo, o per estetica e colore possono associarsi a oggetti del passato».

All’origine dell’approdo in città del progetto Archeoplastica l’episodio raccontato dall’assessore all’ambiente Alessandro Tesei: «Il merito è di Caparezza: lavoravo ad un suo video quando, in una pausa, mi mostrò e fece scoprire, il lavoro di Enzo Suma». Suma, collegato, è il dottore in scienze ambientali che ha dato il là dal 2008 ad Archeoplastica: «Nato in maniera spontanea, dagli oggetti rinvenuti sulle spiagge. Su tutte quelle italiane, chi più o chi meno a seconda delle correnti, se ne spiaggiano in gran quantità. Il primo che ho raccolto era uno spruzza spray abbronzante: iniziai a studiarlo, risaliva agli anni ‘60». Ed ecco che lo studio dei rifiuti diventa studio del consumo, del costume, del design. Diventa archeologia. «La plastica racconta l’evoluzione degli ultimi 100 anni di prodotti» dice Suma. E racconta un problema, da affrontare.

La mostra proporrà una riflessione su un uso consapevole della plastica: attraverso accostamenti con opere d’arte e oggetti di design di plastica, viene posta l’attenzione sulle proprietà estetiche e funzionali di questo materiale che, però, pone anche un grande problema dal punto di vista ambientale.

«Ora c’è una maggiore consapevolezza ma non era così quando, vent’anni fa, come università abbiamo iniziato a studiare questo tema – dice Stefania Gobbi, del Dipartimento Scienze della vita e dell’ambiente della Università Politecnica delle Marche – da allora ci occupiamo dell’impatto della plastica, della presenza di microplastiche in ciò che mangiamo e respiriamo». Matteo Giantomassi, Ata Rifiuti, evidenzia: «I passi avanti di una regione passata in vent’anni dal 15% al 72% di raccolta differenziata e da 227mila a 64mila tonnellate di indifferenziato portato in discarica. La plastica e il suo ciclo di vita – materiale dalla lunghissima durata ma usato in larga parte per l’usa e getta – sono tema centrale». È Venanzoni, Soprintendenza, a far notare: «Nel confronto tra rifiuti di ieri e di oggi, spicca oggi l’attenzione per l’igiene: in larga parte si ritrovano contenitori in plastica di prodotti per la pulizia di superfici. E tra gli antichi, il concetto di usa e getta era praticamente inesistente».

Per l’assessore alla cultura Luca Brecciaroli: «Operazione affascinante, che unisce arte, archeologia, educazione ambientale e senso civico. Esprimendo un grande valore educativo». Anche in tema di legalità, con alcuni dei reperti antichi recuperati alla detenzione illegale e restituiti allo Stato dai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale.

Archeoplastica sarà visitabile fino al 27 ottobre.

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