JESI – Via Setificio, via Garibaldi, piazzale San Savino. Sono alcune delle zone che l’architetto Mario Talacchia frequenta abitualmente per lavoro, per esigenze familiari e per svago. L’ex consigliere comunale è spesso nel quartiere di San Giuseppe, abitando nelle vicinanze, e sente l’esigenza di andare controcorrente rispetto al clima di intolleranza che sembra fiorire nel Paese.
Parte da un aneddoto. «Qualche giorno fa stavo pedalando in zona stazione delle corriere – racconta il professionista jesino – e a causa di una distrazione sono caduto a terra. Immediatamente, un bambino nordafricano, in bici a poca distanza da me, mi è venuto in soccorso, riportandomi il cellulare che mi era scivolato dalle tasche e donandomi un sorriso, il suo modo per chiedere se era tutto ok. Ecco, io credo che dovremmo ripartire dai bambini, che a differenza di noi grandi non conoscono il razzismo».
Talacchia non usa giri di parole: «Personalmente non vedo grosse problematiche a San Giuseppe, rispetto al resto della città, a meno di annoverare il colore della pelle fra queste – afferma l’architetto -. Qualcuno, a volte, esagera con l’alcol, ma è una persona a commettere il reato, non l’intera comunità. La percentuale di persone non italiane in questo rione è molto elevata e, numeri alla mano, non mi sembra che ogni giorno vi siano fatti di cronaca nera. Il vero problema è che in Italia non vi è certezza della pena e che il lavoro delle forze dell’ordine spesso viene vanificato dalla burocrazia e dalla lentezza della macchina giudiziaria. La questione sicurezza, che pure esiste e a mio parere non riguarda esclusivamente la piccola criminalità, si affronta con le leggi e la loro rapida ed efficace applicazione».
Chi sbaglia, paga. «Non credo – prosegue Talacchia – che saranno muri e barriere a consentirci di vivere in questo mondo sempre più multietnico e pluri-culturale. In via Setificio un mio amico e collega ha lasciato aperta la porta dell’ufficio per 15 giorni: nessuno è entrato. Credo insomma che dovremo tornare a confrontarci in maniera civile, dicendoci con calma e serenità cosa non condividiamo del pensiero altrui, invece di insultarci e alzare i toni».