JESI – Aveva già truffato 4 aziende la 30enne nigeriana residente nel trevigiano denunciata dagli agenti della Squadra Mobile della Questura di Treviso nel corso di un’operazione investigativa congiunta con i colleghi del Commissariato di Jesi.
L’indagine era partita da Jesi nei giorni scorsi, quando un amministratore di condominio si era rivolto alla Polizia per denunciare il mancato arrivo di un bonifico di 45mila euro che l’uomo aveva inviato ad un’azienda ingaggiata per lavori di ristrutturazione. Gli agenti, guidati dal vice questore Mario Sica, hanno subito iniziato ad indagare sulla vicenda scoprendo che l’importo era finito su un conto corrente attivo presso uno sportello bancario del trevigiano.
Contattato l’istituto di credito i poliziotti hanno bloccato la transazione già conclusa ed hanno informato dell’accaduto i colleghi della Squadra Mobile della Questura di Treviso che hanno denunciato una donna nigeriana di 30 anni (O.T.A) residente nella zona.
La donna, responsabile di numerosi episodi di frode informatica aggravata dal furto di identità digitale, utilizzava la tecnica del “man in the middle”, ovvero si introduceva a livello informatico tra la vittima e il server della banca online o di posta elettronica, dirottando la transazione su un altro conto.
Nel dettaglio, la donna intercettava la corrispondenza telematica e, una volta clonata l’identità digitale, inviava alcune mail con le quali sollecitava pagamenti di fatture con indicazioni di differenti coordinate bancarie. I soldi versati dagli imprenditori frodati finivano su conti correnti nazionali o esteri di soggetti compiacenti, che li prelevavano in contanti in modo da impedirne la tracciabilità.
Tra le frodi accertate, commesse dalla donna, due nei confronti di aziende marchigiane per oltre 43 mila euro e altre due nei confronti di un’azienda vicentina e di una inglese con sede a Milano per oltre 4 mila euro. Gli investigatori della Squadra Mobile di Treviso, fingendosi impiegati bancari, hanno sorpreso la donna mentre cercava di consegnare alla direttrice dell’istituto di credito documentazione contraffatta, per sostenere l’apparente regolarità del suo operato.