JESI – Un pomeriggio ricco di emozioni quello di ieri (6 gennaio) al Teatro Pergolesi dove è stata ospite Egidia Beretta Arrigoni, la mamma dell’attivista Vittorio Arrigoni vittima del terrorismo internazionale nel 2011.
Ospite della Consulta per la Pace, che tradizionalmente il giorno dell’Epifania organizza incontri per parlare di pace e solidarietà, la mamma di Vittorio ha raccontato l’impegno del figlio per la Palestina con grande emozione. Accanto a lei c’erano il coordinatore della Consulta, Paolo Gubbi, e il docente di lingua e cultura araba El Mostafa Drissi, l’assessora Paola Lenti che ha portato i saluti dell’amministrazione comunale.
Nata nel 1999 la Consulta per la Pace, passata da una manciata di associazioni ad esserne attualmente composta da 28, promuove la cultura della pace e della solidarietà: lo scorso anno aveva portato al Palazzetto dello Sport i genitori di Giulio Regeni (leggi l’articolo). Presenti al Pergolesi anche Andrea Pisana, con la famiglia, il siciliano che nel 2017 aveva raccolto nel suo campo a Modica il palloncino lanciato a Jesi dando via così ad un gemellaggio tra le due città.
«Jesi si dimostra una città solidale e attenta a queste tematiche» ha detto Drissi ricordando Silvia Romano, la giovane rapita in Kenya di cui non si hanno notizie da settimane. «Vittorio era un ragazzo che non sopportava le ingiustizie e stava sempre dalla parte dei più deboli – ha ricordato la mamma -. Dopo il diploma ha iniziato a lavorare come ragioniere nella ditta di famiglia ma non era sereno: era come se sentisse di dovere qualcosa alla sua esistenza. Per brevi periodi ha partecipato a campi di lavoro in giro per il mondo con le Ong, prediligendo quei paesi dove la cooperazione italiana era meno presente: è stato in Africa, nei Balcani e ci ha messo poco a scoprire che i sogni dei giovani sono identici in qualunque parte del mondo si vada».
A 27 anni il primo “incontro” con la Palestina: «Era il 2002 e Vittorio era a Gerusalemme per la costruzione di un campo da gioco per i bambini. Cercava sempre informazioni sul posto prima di partire, ma della Palestina si sapeva poco e ricordo che fu colpito dal fatto che in Cisgiordania c’erano appena stati dei bombardamenti. Avevo capito che questa volta era diverso dagli altri viaggi e infatti ci disse che non sarebbe tornato perché aveva trovato una realtà peggiore di quello che credeva».
Tra arresti, le violenze subite dalle forze dell’ordine e i rimpatri, Vittorio torna in Palestina nel 2008: «Non riusciva a stare tranquillo dinanzi all’ingiustizia di questo popolo che lotta per la sua libertà: con gli altri attivisti faceva da scudo umano per i contadini, i pescatori, i medici e gli infermieri che facevano il loro lavoro rischiando di morire ogni istante perché bersagli dell’esercito israeliano». Quando inizia una guerra la prima vittima è la verità, così Vittorio si è messo a scrivere articoli pubblicati sul Manifesto che aprivano uno spiraglio su quanto accadeva al popolo palestinese che oggi ricorda il giovane come uno di loro. Ogni articolo terminava con “Restiamo umani“, l’appello del giovane alla vera natura dell’uomo. «Non era facile sentirlo poco, saperlo in costante pericolo, vederlo profondamente cambiato ma mai in quegli anni ho sentito Vittorio timoroso o impaurito – ha aggiunto la donna -. La Palestina trascende la geografia e la si può trovare anche fuori dalla porta di casa».
Classe 1975, Vittorio Arrigoni muore a Gaza nel 2011: era stato ingannato da alcune persone, che riteneva amiche, all’uscita di una palestra dove andava per sfogarsi. Con la pubblicazione di un video in cui lo si vede bendato e legato, i rapitori hanno chiesto la liberazione del loro leader. Il suo corpo sarà ritrovato senza pochi giorni dopo: il processo e le indagini hanno fatto luce su quanto accaduto e sui responsabili della morte del giovane attivista, riconosciuto vittima del terrorismo internazionale. Attualmente i rapporti con la Palestina sono tenuti dalla famiglia di Vittorio tramite la Fondazione Vittorio Arrigoni Vik Utopia Onlus.