JESI – Non devono pagare nulla. È anzi il Comune che deve pagare loro. Lo ha stabilito la Corte di Appello di Ancona, confermando ciò che già il Tribunale aveva affermato in primo grado: le 112 famiglie – ma erano 400 all’inizio della vicenda – assegnatarie degli alloggi sorti in zona ex Piccitù, vicino via Coppi, e alle quali oltre vent’anni fa il Comune di Jesi aveva chiesto oltre un miliardo e 600 milioni di lire a conguaglio del prezzo di cessione delle aree alle Cooperative di cui erano socie, non sono tenute al pagamento. E il Comune deve loro oggi circa 15mila euro totali (oltre Iva, contributi e rimborso per i legali).
Sono gli avvocati Stefano Serrini e Paolo Mocchegiani, che hanno assistito le 112 famiglie, a riferire l’esito e ripercorrere la vicenda. «La Corte di Appello di Ancona con sentenza n. 1417/2022 del 10 novembre scorso ha confermato la sentenza emanata del Tribunale di Ancona n. 1529/2019, pubblicata il 16 settembre 2019, con cui il giudice di primo grado aveva respinto la domanda riconvenzionale proposta dal Comune e dichiarato che nulla era dovuto all’Ente in ragione dei titoli dedotti in giudizio. La Corte di Appello ha respinto la richiesta del Comune di Jesi volta ad ottenere la condanna dei singoli assegnatari (ex soci di Cooperative che aveva acquistato dagli ex Istituti riuniti di Beneficienza “II.RR.BB.” degli alloggi realizzati sulle aree ubicate in zona ex Piccitù – nelle immediate adiacenze di via F.Coppi) al pagamento, a titolo di conguaglio del prezzo di cessione, disponendo che nulla dagli stessi è in realtà dovuto con riferimento al diritto di superficie e condannando lo stesso Comune al pagamento in favore delle famiglie titolari del diritto di superficie su detti alloggi la somma di euro 15mila oltre Iva, Cap e rimborso forfettario 15%».
«La vicenda trae origine dalle diverse convenzioni di cessione di aree stipulate dal Comune nel 1983 con le Cooperative di cui i predetti erano soci, nell’ambito del progetto di edilizia economica e popolare approvato dal Consiglio Comunale. Allo scopo di darvi attuazione, il Comune aveva espropriato alcuni terreni, successivamente ceduti a dette cooperative in forza di atti in cui il prezzo di cessione, in parte determinato in parte determinabile sulla base di quanto il Comune avrebbe corrisposto ai soggetti espropriati, prevedeva allo scopo la clausola “salvo conguaglio”».
E nel maggio 2000 il Comune infatti aveva ingiunto «il pagamento di somme pari a circa lire 1.657.239.000 (euro 855.891,51) nei confronti degli assegnatari a titolo di conguaglio del corrispettivo di assegnazione di dette aree, importo che l’Ente reputava di introitare».
Si sviluppava in tal modo un ampio contenzioso che inizialmente riguardava 400 famiglie, delle quali successivamente 288 aderivano alla transazione proposta dalla Amministrazione Comunale, per le restanti 112 (proprietari in diritto di superficie e in diritto di proprietà) iniziava una lunga fase giudiziale.
«Una grana – dicono Serrini e Mocchegiani – che già il precedente sindaco, Massimo Bacci, non aveva nascosto di temere con alle inevitabili ripercussioni sulle casse pubbliche. La sentenza odierna, dopo un contenzioso ultraventennale ha accolto integralmente la tesi della difesa dei titolari del diritto di superficie appellati».