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Jesina in ginocchio, Chiariotti: «O noi o chiudere». La curva: «Vattene». Il messaggio di Ale Gabrielloni

Jesina retrocessa in Promozione, il punto più basso dei suoi 97 anni di storia. Per il presidente Chiariotti non esistono alternative alla attuale società ma c'è chi continua a garantire il contrario, come suggerito settimane fa dall'ex sindaco Bacci

Jesina - Monturano Campiglione, la delusione dei giocatori leoncelli a fine gara dopo la retrocessione

JESI – «O andare avanti con questa società o chiudere». Secondo Giancarlo Chiariotti, presidente della Jesina appena retrocessa in Promozione dopo lo spareggio playout con il Monturano Campiglione perso in casa domenica scorsa 12 maggio (0-2), non ci sono ulteriori alternative per il prossimo futuro della società e della formazione leoncella, giunta sportivamente al punto più basso dei suoi 97 anni di storia. Per i sostenitori della Jesina, che hanno gremito il Carotti di oltre 1.500 presenze per una partita che valeva la salvezza in Eccellenza, dubbi però non sembrano essercene. «Questa società se ne vada, meglio chiudere e ripartire da zero che continuare così» è in sostanza il pensiero che andava per la maggiore nella tarda serata di domenica, quando in tanti sono rimasti – sotto il vigile controllo delle forze dell’ordine – ad attendere l’uscita dallo stadio del presidente contestato. Un messaggio ripetuto più volte per tutto l’anno, in un clima costante di contestazione nei confronti della società, e ribadito anche nel corso del playout. «Della Jesina e della sua gente non te ne è mai fregato niente. Chiariotti vattene» è comparso sullo striscione esibito in curva nel corso della gara. Il tutto ribadito da tempo nelle scritte comparse sui muri dello stadio e non solo.

Sui social il coro è unanime. «Via tutti». Con commenti spesso dai toni e dai termini che non è il caso di riportare ma molto netti. Nel dopo gara Chiariotti così si è espresso: «Il primo pensiero è chiedere scusa a tutti i tifosi che sono venuti allo stadio. È esclusivamente colpa mia. Né dello staff, né dei giocatori. Gli errori li ho fatti io, me ne assumo completamente la responsabilità. Abbiamo fatto tutto quello che potevamo, purtroppo non è servito. Bisogna chiedere scusa e basta possiamo accampare tutte le scuse di questo mondo ma ormai il risultato è questo. Potremmo parlare di arbitraggi, infortuni, campi che non ci sono ma sono storie vecchie che conosciamo tutti». E poi, «il tifo è da luglio che mi contesta, valuteremo il tutto senza farci condizionare da alcuna cosa. Valuteremo seriamente il da farsi, premesso che acquirenti non ci sono, che non c’è mai stato alcun acquirente e perciò ad oggi le possibilità sono semplicemente due: o andare avanti con questa società o chiudere. Le possibilità ci sarebbero, la società è sana e non ha alcun tipo di problema. L’unico è questo alone, questo parlare sempre male della Jesina, fare sempre il male della Jesina. Parlo di tutta la città, a cominciare dall’ente pubblico, ai tifosi: tutti hanno sulla bocca la Jesina ma nessuno fa niente veramente per la Jesina. Ci sono tante cose che stiamo facendo ma che non si vedono perché si vede solo il risultato della prima squadra. La società può andare avanti tranquillamente ma qualcuno deve mettersi in testa che non si può fare sempre il male della Jesina. Devono esserci altri interlocutori che devono fare la propria parte non a parole ma con i fatti».

Ma chi sostiene la Jesina non è dello stesso avviso. E c’è attesa per un appuntamento che capita a fagiolo proprio oggi 13 maggio, all’indomani della retrocessione: alla mostra evento della Fondazione Cardinaletti “Jesi e il ‘900 verso il 2050” in Corso Matteotti, è in programma nel pomeriggio un incontro dal titolo “Il calcio a Jesi – Verso il 20250”. Tra gli interventi, oltre a quello del padrone di casa Andrea Cardinaletti che è stato dirigente ai massimi livelli di società calcistiche di A e B, quello di Luca Marchegiani, portiere partito proprio negli anni ’80 dai pali della Jesina in Serie C2 per arrivare a difendere la porta di Torino e Lazio in Serie A e a diventare vice campione del mondo con la Nazionale azzurra nel 1994. E poi personaggi di lunga esperienza nel calcio marchigiano e nella Jesina come Alessandro Cossu e Osvaldo Presti. In tanti si aspettano, e sperano, che possa venire fuori dal confronto uno spiraglio di luce sulla situazione, ai minimi termini, del calcio targato Jesina. E intanto c’è chi continua a garantire che, come suggerito nelle settimana scorse dall’ex sindaco Massimo Bacci, interessati a dare alla Jesina un nuovo e migliore corso pure ci sarebbero, a patto che la attuale dirigenza si faccia parte. Se così è, sarebbe importante che chi avesse tale intenzione uscisse allo scoperto, rendendo più chiara la situazione e consentendo così di riflettere, davvero, su cosa sia il meglio per la Jesina.

Una unica nota positiva arriva da “quel ramo del lago di Como”. Dove venerdì scorso 10 maggio uno jesino e leoncello doc come Alessandro Gabrielloni, ha coronato il sogno che rappresenta una vera e propria favola sportiva: partito dalla Serie D (l’esordio a 16 anni a San Benedetto con la maglia della Jesina, un gol da ricordare per una vittoria nel derby con l’Ancona nel 2013), Ale è arrivato in Serie A, passando per una tripla promozione – dalla D alla C, quindi alla B e ora la massima serie – con quel Como di cui è diventato una bandiera e uno dei migliori marcatori della storia.

Jesino e tifoso della Jesina, Alessandro nel momento della sua massima gioia sportiva non ha mancato di pensare ai colori leoncelli, che ha vestito e tante volte sostenuto, da ragazzino ma anche in seguito, dalla curva.

Questa gli ha dedicato nel corso della gara playout uno striscione: «Uno jesino in Serie A rende fiera la città. Grande Ale». E Gabrielloni lo ha ripreso nelle sue storie di Instagram, dove oltre alle immagini delle meritata festa di Como, spuntano lo striscione della Nord leoncella e le parole di Alessandro: «Nel giorno più triste della storia della Jesina, fiero di essere jesino, grazieeee a tutti».

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