JESI – Estimatore di accendini, Max Giorgi, 48 anni, jesino, ne ha fatto una vera e propria passione. Tanto da collezionarli, quelli più antichi.
«Quando superano il 1935 sono troppo nuovi…».
Come si è acceso questo particolare interesse?
«Sin da bambino mi attirava il Ronson Varaflame di mio padre, per me l’accendino per eccellenza, tanto che ogni volta che potevo, a sua insaputa, ci giochicchiavo. Poi, quando ho inziato a fumare il sigaro, a 32 anni, comprai un Varaflame. Ma non ero riuscito a trovare la versione rivestita in pelle, che è quella che si conserva meglio. Allora mi sono messo a cercarla e durante questa mia ricerca ne ho scoperti di altri che hanno solleticato la mia attenzione. E adesso ne ho più di un centinaio».
In sè non è una grande collezione ma è arricchita da alcuni pezzi che farebbero la gioia di qualsiasi altro collezionista.
«Quello più antico che ho è il Koopman’s Magic Lamp del 1889, primo accendino a grande diffusione, in ottimo stato. Poi il Ronson Viking con paravento del 1949, pezzo unico al mondo, acquistato proprio quest’anno. Rari sono anche il Malaret, francese, del 1911, con meccanismo molto originale e il KaBe Large Version, tedesco, del 1935».
Tranne alcune eccezioni, tutti gli accendini di oggi sono figli o nipoti del Ronson Banjo, del 1926, il primo automatico. Ma in precedenza gli ingegneri si sono sbizzarriti in tante soluzioni per poter accendere la fiamma.
«Ed è soprattutto lo scoprire il funzionamento dei vari meccanismi che mi affascina. E spesso mi applico anche a restaurarli o rimetterli in funzione dopo tanti decenni».
Max è un amante del sigaro e, a seconda del tipo di tabacco, va usato un accendino a combustibile diverso.
«Per i tabacchi sud americani, più delicati, sicuramente un accendino a gas come il Varaflame o a fiamma rigida. Per il Toscano o i tabacchi molto forti e aromatici, preferisco quelli a benzina e qui dipende dalle occasioni. In questo caso i miei preferiti, per questioni affettive soprattutto, sono un Thorens ad artiglio singolo o i primi Ronson standard. Oltre, ovviamente, al KaBe e al Malaret».
E’ interessante vedere come nei decenni l’accendino si sia evoluto da semplice sostituto più pratico del fiammifero a oggetto di varie forme, anche a seconda della moda, o se a farne uso fossero le donne. Con funzioni anche multiuso.
«Per le donne era più piccolo e usciva con qualche anno di ritardo rispetto alla versione maschile. Per gli uomini, sino agli anni ’30, la maggior parte avevano forme che li rendevano adatti a essere messi nella tasca del panciotto. Riguardo ai multiuso, si va dai primi con orologio incorporato ai successivi con un metro o un carillon, una roulette che io possiedo, ma anche con coltellini, bussole, posacenere, cavaturaccioli e, soprattutto, taglia sigari».
Ma è una passione costosa?
«Tendenzialmente no, dipende da chi e dove lo compri. Io acquisto generalmente da Germania, Francia, Inghilterra, Stati Uniti. Le grandi soddisfazioni si trovano, però, rischiando un po’, nei paesi del Sud America e nell’Est Europa dove ho trovato ottimi pezzi, rari e a buon prezzo».
In questo momento cos’hai con te?
«Un Evans Roller Bearing dei primi anni ’30».
Inutile chiedergli se ci accenderebbe anche una sigaretta. Non lo farebbe mai…
Una carrellata degli accendini da collezione (foto Candolfi Jesi)