JESI – Oltre 3 chilometri di ghiaccio sotto ai piedi. Le temperature più calde? -25 gradi. Lo scorso maggio, il record di freddo: -102,6 gradi. È il contesto in cui opera lo jesino Fabio Borgognoni, glaciologo e chimico dell’atmosfera in missione in Antartide. Lo scorso novembre, al termine di un viaggio decisamente impegnativo ed estenuante, ha raggiunto la stazione scientifica italo-francese Concordia, situata a 3200 metri di quota sul Plateau Antartico, distante oltre 1200 km dalla costa. Una missione resa possibile grazie al PNRA, il Programma Nazionale di Ricerche in Antartide, finanziato dal MUR, e coordinato dal CNR per le attività scientifiche e dall’ENEA per l’attuazione logistica delle Spedizioni.
Diplomatosi al liceo scientifico Leonardo Da Vinci di Jesi e laureatosi in Scienze Ambientali all’Università degli Studi di Urbino, Borgognoni sta portando avanti diversi progetti legati allo studio degli inquinanti atmosferici, delle proprietà fisiche e chimiche della neve superficiale. È lontano da tutto e da tutti, ad eccezione dei suoi colleghi di avventura. «Le persone più vicine a noi – ricorda – sono gli astronauti della ISS quando ci orbitano sopra, a 400 km di altezza, mentre i “terrestri” più “vicini” sono i “colleghi” della base scientifica russa Vostok, a 650 km. Eppure, è un posto affascinante. I tramonti e le albe hanno colori spettacolari, di notte abbiamo visto diverse volte l’aurora australe. Una cosa che non avrei mai pensato di vedere è il giorno e la notte contemporaneamente guardando verso l’orizzonte e poi voltando lo sguardo nella direzione opposta: incredibile».
Nel periodo che va da fine gennaio ad ottobre, per nove mesi, la Concordia è completamente isolata e nessuno può raggiungerla, qualunque cosa accada: nessun aereo riesce a volare con temperature così basse e nessun altro mezzo può intraprendere il viaggio. «Ecco perché dobbiamo essere pronti a tutto – spiega Borgognoni -: tra di noi abbiamo formato due squadre antincendio, una squadra per il recupero di un eventuale infortunato all’esterno della base, un team medico per aiutare la dottoressa nelle emergenze mediche. Ci esercitiamo anche più volte al mese. Quando usciamo dalla base intorno a noi non c’è nulla per centinaia di chilometri. Non ci sono piante, non ci sono animali né microorganismi. Non ci sono rumori, odori, né colori, se non il bianco della neve. Siamo lontani da tutti, nel più grande altopiano desertico del pianeta, un deserto di ghiaccio arido e con temperature estreme».
Mentre nella stagione estiva, la stazione Concordia è in grado di ospitare fino ad 80 persone, utilizzando anche una serie di container abitativi e delle speciali tende, durante l’inverno il numero delle persone che rimangono è ridotto a poco più di una decina. «Quest’anno siamo dodici “invernanti”, 6 italiani, 1 inglese e 5 francesi, e rimarremo qui fino al prossimo novembre, quando ritorneranno “gli estivi” – riferisce Borgognoni -. Durante la giornata ognuno svolge il proprio lavoro. Spesso abbiamo videoconferenze con le scuole o le associazioni per illustrare gli studi condotti in Antartide. Nel tardo pomeriggio, ognuno può impiegare il tempo libero come vuole: abbiamo una piccola palestra per fare sport ed attività fisica, nella living room c’è una fornita biblioteca con libri in francese e italiano e tanti giochi da tavola, abbiamo una video-room con strumenti musicali per chi vuole cimentarsi con la musica, un videoproiettore e una miriade di film, musica e serie televisive, abbiamo anche un tavolo da biliardo, uno da ping-pong e un biliardino. Alle 19.30 ceniamo e poi di nuovo tempo libero: ultimamente ci stiamo vedendo parecchie serie tv».
Scarsa la connessione, che ha permesso tuttavia al ricercatore jesino di rivivere parte delle emozioni degli Europei di calcio e delle olimpiadi di Tokyo. «La connessione internet che abbiamo qui a Concordia – racconta Borgognoni – non ci ha consentito di seguire in streaming gli eventi, ma abbiamo visto alcuni momenti salienti a posteriori e siamo stati felici degli importanti risultati raggiunti. So che a Jesi hanno festeggiato in modo particolare la vittoria degli Europei».
L’Antartide è anche un osservatorio privilegiato del mondo di oggi e di domani. «Questa particolare regione del continente antartico – illustra il ricercatore – era stata accuratamente scelta per la stabilità dei ghiacci ed è proprio a Concordia che è stato condotto il progetto EPICA per lo studio del paleoclima: attraverso un carotaggio del ghiaccio (profondo oltre 3000 metri e durato più di vent’anni) è stato possibile risalire alla composizione chimica dell’atmosfera fino ad 800 mila anni fa, grazie all’analisi delle minuscole bollicine di aria rimaste intrappolate nel ghiaccio. Si è visto che in passato, ad esempio a causa delle attività vulcaniche, ci sono state oscillazioni naturali nella quantità di anidride carbonica, il principale gas responsabile del riscaldamento globale e dei ben noti cambiamenti climatici. Però queste oscillazioni di concentrazione della CO2 non hanno mai superato il valore di 260 ppm (parti per milione) in atmosfera. Poi circa 200 anni fa qualcosa è cambiato: la concentrazione di anidride carbonica è aumentata come mai era successo negli 800 mila anni precedenti. Il valore è salito costantemente, senza più fermarsi, fino agli oltre 400 ppm degli anni attuali. L’uomo, a partire dalla rivoluzione industriale, ha cominciato a riversare nell’atmosfera incredibili quantità di anidride carbonica bruciando carbone, petrolio e gas per produrre energia elettrica. A questo si sono aggiunte imponenti deforestazioni (non dimentichiamoci che le piante sono gli unici esseri viventi che consumano l’anidride carbonica producendo ossigeno). Purtroppo la CO2 ha la caratteristica di trattenere il calore che la Terra rifletterebbe altrimenti verso lo spazio, creando quindi una “coperta termica” che ci riscalda sempre di più. Se il trend continua così, a fine secolo sono previsti circa 900 ppm di CO2 in atmosfera. Piuttosto che rimandare ogni volta di qualche decennio le scadenze per il contenimento dell’anidride carbonica in atmosfera, il risparmio e l’efficienza energetica, così come la salvaguardia del patrimonio naturale, insieme alle tecnologie innovative e alla sostenibilità dei sistemi produttivi e territoriali, sono le possibilità che abbiamo per contrastare i cambiamenti climatici: un risultato in tal senso sarà possibile solo se tutte queste misure verranno applicate con determinazione».