JESI – Ultimo giorno di lavoro in Nuova Banca Marche – da oggi “Banca Adriatica” e entro pochi mesi ufficialmente incorporata in Ubi Banca Unica – per Luciano Goffi, amministratore delegato dell’istituto di credito marchigiano dal settembre 2012 a ieri sera quando, appunto, Bankitalia ha venduto le tre good bank Etruria-Marche-Chieti al gruppo bergamasco. «Cosa farò da domani mattina? Il pensionato; tra i progetti quello di riprendere l’amata bicicletta», dice.
Nel Centro Direzionale Fontedamo di Jesi, Goffi ha lasciato il posto di amministratore delegato ad Alberto Pedroli, classe 1965, già responsabile della Direzione Investment Banking in Ubi Banca e che nel gruppo delle ex popolari ha trascorso tutta la propria carriera. Ci incontriamo in questa sede ancora una volta, appunto nel giorno dei saluti. Dei saluti e dei bilanci.
Un bilancio, quello del salvataggio, che è costato «circa 4 miliardi per la sola Banca Marche. Solo per questa banca ponte si parla di 1,5 miliardi di patrimonio perso, e di un’infusione di 2,5 miliardi messi dal sistema bancario a fondo perduto. È stato un grande sacrificio per gli ex soci e il sistema bancario, ma i contribuenti non hanno versato un euro», rivela l’ex amministratore delegato di Nbm.
«È stata quasi una missione impossibile – spiega ancora Goffi – ma alla fine siamo riusciti a portare a termine l’operazione di cessione. Abbiamo affrontato una mole di ostacoli non banale, anche nel 2016 abbiamo corso dei rischi. Ci siamo trovati a vendere rapidamente le 4 banche ponte in un mercato ancora più complicato dal punto di vista regolamentare. È la prima volta che un’operazione di risoluzione si conclude positivamente, ora accade per le tre banche ponte in Ubi e a breve anche per la quarta (Cariferrara, ndr, in Bper); l’unica operazione del genere in Europa è in Portogallo ed ancora è aperta. Abbiamo consentito ai clienti di recuperare la piena tranquillità dal punto di vista dei loro risparmi e delle loro linee di credito perché entrano in un Gruppo italiano solido, dal punto di vista patrimoniale uno dei più liquidi, e che ha una grande voglia di investire sui territori. Di questo risultato sono molto soddisfatto, è un risultato importante, di cui mi sento di ringraziare Banca d’Italia, la grande tenacia del presidente Roberto Nicastro, ed i dipendenti tutti che non si sono risparmiati in tutti questi anni nel mantenere l’operatività della banca e sempre vivo il rapporto con la clientela».
Con l’entrata delle tre banche in Ubi, il gruppo bergamasco ha ridefinito il suo piano industriale fino al 2020. Un piano che prevede una ridefinizione del perimetro delle tre good bank, con un taglio dei costi operativi di circa 200 milioni di euro, la chiusura di 140 filiali e la riduzione dell’organico dei lavoratori pari a -1.569 risorse o -32% rispetto al 2016 nel perimetro Bridge Banks. Questo pomeriggio, in conference call, il consigliere delegato di UBI Banca, Victor Massiah, ha voluto rassicurare spiegando la «volontà di non fare alcun tipo di licenziamento» e che il gruppo intende gestire «su base volontaria» gli esuberi nelle good bank. Ma i tagli allarmano, e di molto, i dipendenti ed i sindacati aziendali, che oggi hanno fatto richiesta urgente di incontro al presidente della Regione Marche Luca Ceriscioli e che domani saranno a Milano per manifestare alla nuova proprietà tutta la loro preoccupazione.
Su questo punto, Luciano Goffi spiega che «sicuramente ci sono sovrapposizioni di sportelli tra NBM e UBI, in particolare nel maceratese e nell’anconetano, ma sarà una gestione ‘normale’, un destino comune all’intero sistema bancario che in questa fase sta chiudendo sportelli; si punterà su filiali strutturate con tutti i servizi disponibili per la clientela». Quanto ai lavoratori, aggiunge Goffi, «ci sarà da gestire anche un certo numero di esuberi, questo non vuol dire direttamente gente che esce; il messaggio forte che Ubi ha dato e che mi sento di confermare è che gli esuberi verranno gestiti non in maniera violenta ma trovando soluzioni organizzative e tecniche tali da far uscire le persone secondo percorsi molto lineari. Recentemente abbiamo raggiunto un accordo per definire il primo nucleo di esuberi, già pronte ad uscire sono 270 persone ma poi il bacino effettivo supera i 300 dipendenti in termini di adesioni raccolte. È il primo esempio di come questo problema verrà gestito da UBI: in caso di necessità non si pensa ai licenziamenti ma all’uso del fondo esuberi, della solidarietà e del part time».
Si è lottato a lungo, nelle Marche, per preservare l’autonomia di Banca Marche. Oggi il centro delle decisioni lascia la regione..
«Cambia, non solo per noi, il modo di concepire l’idea di banca locale», dice Luciano Goffi. «Il mercato è cambiato in questi anni, la piccola dimensione di banca si scontra con le sfide che il mercato impone. Dimensione più grande però non vuol dire non essere attenti al territorio. Ubi Banca ha fatto nella sua storia almeno sette integrazioni, con queste tre banche ponte sono dieci, ed ogni volta ha cercato di interpretare il linguaggio, le esigenze, la cultura dei territori, chiaro con delle regole che sono generali e che sono un po’ più rigide rispetto a quelle di una banca prettamente locale ma comunque con una grande voglia di saper capire i singoli territori in cui opera. Questa è la sfida delle grandi banche, e secondo me Ubi è una delle più attrezzate per vincere questa sfida».
Cambia qualcosa dal punto di vista del credito con l’integrazione? E per i correntisti?
«Dal punto di vista del credito non cambia molto perché i clienti che sono sovrapposti sono una minoranza, circa il 10%. E comunque il nuovo proprietario è un Gruppo che ha una grande voglia di investire; una delle politiche di Ubi è quella di crescere sugli impieghi, assecondando certo la domanda sana perché la selezione del credito è oramai un driver comune a tutto il sistema bancario. A mio giudizio la somma di queste due reti, Ubi e Nbm, crea un soggetto di grande interesse per le famiglie e le imprese del territorio; sarà un punto di riferimento fondamentale nei prossimi anni nel panorama economico della regione, e stimolerà la competizione».
Cambieranno gli Iban dei conti correnti?
«Non cambia nulla per i correntisti della ex Banca Marche, né mutui né fidi né conti correnti. Al massimo cambia la dicitura Banca Adriatica nell’intestazione degli estratti conto. E poi sarà tutto Ubi».
Information Techology, da ottobre Banca Adriatica-ex Banca Marche passa ai software gestionali di Ubi. Che prospettive per il polo informatico di Macerata?
«L’intenzione della nuova proprietà, già comunicata al personale, sarebbe quella di lasciare sul territorio alcune attività che saranno rivolte all’intero gruppo».
Ed i crediti problematici che rimangono? E le azioni legali in corso? Cosa accadrà?
«Dopo la vendita da parte delle tre banche al Fondo Atlante di 2,2 dei crediti problematici, di cui 1,5 miliardi di Nbm, rimangono ora 5-600 milioni di incagli buoni, sempre nostri, che Ubi ha acconsentito a tenersi e che gestirà. Sarà sempre Ubi farsi carico di tutti i procedimenti aperti da Banca Marche nei confronti degli ex amministratori per il dissesto dell’istituto di credito, in primis l’azione di responsabilità varata da Banca d’Italia durante il commissariamento, e le azioni legali nelle inchieste della Procura di Ancona che vedono appunto in Banca Marche la parte lesa. Resta tutto in piedi, tutte le azioni legali verranno coltivate».