Jesi-Fabriano

“Malati di niente” quando la libertà e un cancello rotto sono terapeutici

"Malati di Niente" è nato con l'intento di combattere il pregiudizio nei confronti di chi ha disagi psichici. Gilberto Maiolatesi ci racconta questo straordinario progetto: «Se non curiamo il contesto sociale la sola terapia sull'individuo rischia di essere fallimentare»

JESI – Nasce diciassette anni fa tra le mura della comunità Soteria di Tabano il progetto “Malati di Niente”, pensato per combattere il pregiudizio verso il diverso, il “matto”, che è ancora molto forte. I diritti, la libertà e la dignità sono terapeutici ecco perché “Malati di Niente” vuole costruire una rete sociale solidale, perché l’intervento degli operatori è troppo debole se non supportato da una comunità, in grado di accogliere senza emarginare.

Gilberto Maiolatesi
Gilberto Maiolatesi

Da diciassette anni questa iniziativa ha un volto, quello di Gilberto Maiolatesi, responsabile della comunità alloggio: «Malati di Niente nasce un anno prima del progetto Sollievo che da allora lo finanzia, la titolarità è dell’Asp. Prende vita tra le mura della comunità Soteria, una struttura socioriabilitativa che accoglie dodici persone con progetti individuali, 24 ore su 24 per tutto l’anno».

Il titolo della rassegna e l’incontro tra Alberto Paolini e gli studenti jesini fa riflettere: la follia non è una malattia.
«La follia è una condizione umana come la normalità, fa parte dell’essere umano. Per la stragrande maggioranza delle persone non c’è un danno neurologico, la causa va ricercata nelle difficoltà relazionali, affettive, materiali di una persona. In questa comunità, e io personalmente, siamo per una psichiatria sociale, non medicalizzata. La follia è una forma di difesa, una dissociazione con la realtà a causa di un evento traumatico. Lavoro da ventidue anni in ambito psichiatrico, reagiscono quelle persone più fragili e sensibili che il più delle volte hanno avuto una vita dura».

Questo progetto porta la comunità tra la gente, avete sentito questa necessità?
«Il titolo della rassegna è provocatorio e si, eravamo consapevoli che non potevamo rimanere chiusi nella comunità: Soteria nasce con una forte predisposizione antipsichiatrica, è un paradosso certo. Se non curiamo il contesto sociale la sola terapia sull’individuo rischia di essere fallimentare».

Alberto Paolini per Malati di Niente
Gli studenti jesini incontrano Alberto Paolini

Agli studenti che hanno incontrato Alberto Paolini, 42 anni nel manicomio più grande d’Europa senza una diagnosi, hai detto di abbattere i muri invisibili.
«Oggi il contesto sociale è molto impaurito, c’è sfiducia nell’altro. L’operatore non può prendersi carico della devianza se non lo fa anche la società, non so so ci stiamo riuscendo ma sicuramente ci stiamo lavorando. Con i ragazzi delle scuole abbiamo fatto un bel lavoro, li ho visti attenti e rispettosi nei confronti di Alberto e questa è stata una piccola vittoria. Il lavoro con i giovani, che hanno meno sovrastrutture degli adulti, è l’antidoto per la creazione di nuovi manicomi. Ecco perché ho detto loro di abbattere i muri, quelli invisibili che abbiamo nella testa, nei confronti del diverso. Quando è nata questa comunità i residenti avevano fatto una raccolta firme perché erano contrari, a distanza di anni si è imparato a conoscersi e le relazioni sono quelle di buon vicinato. Quando vedo i ragazzi che da noi fanno l’alternanza scuola-lavoro, passeggiare con gli ospiti penso che qualcosa si sta muovendo. Pochi giorni dopo il nostro arrivo il cancello di Soteria si è rotto e da allora è rimasto sempre aperto, questa è la metafora del nostro lavoro».