Pochi giorni fa, il 10 ottobre per la precisione, si è celebrata la “Giornata mondiale della salute mentale”, una buona occasione per riflettere sullo stato attuale dei servizi per la salute mentale delle Marche, proprio ora che si affaccia lo spettro di un nuovo lockdown e ancora la collettività subisce gli strascichi devastanti del precedente.
All’indomani del ritorno alla libertà dopo il boom della pandemia, proprio in un’intervista il dottor Massimo Mari, direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Area vasta 2, ci aveva spiegato come il Covid, la forzata reclusione in casa e il bombardamento di notizie negative siano stati elementi detonatori di soggetti a rischio, portando a un’impennata delle ansietà psicologiche e sociali espresse anche da casi di violenza e super-violenza.
Oggi, con lo spettro di un’altra chiusura e le limitazioni imposte dai decreti ministeriali, c’è ancora più bisogno di sorreggere le fragilità e rimettere insieme i pezzi di chi è crollato psicologicamente.
Eppure, le Marche detengono la maglia nera in Italia per le risorse investite nella salute mentale e nei servizi a essa necessari. «Un tempo eravamo la penultima regione, adesso siamo proprio calati a picco – ammette con amarezza il dottor Mari –; le Marche riservano alla salute mentale il 2,1% delle risorse a disposizione, contro il 3,5-3,6% della media nazionale e il 5% di legge».
Qual è lo stato di salute del Dipartimento?
«Oggi i servizi per la salute mentale della nostra regione versano in condizioni di enorme difficoltà a causa della incomprensibile disattenzione del precedente governo regionale. Tanto più colpevole in quanto la tutela della salute mentale è stata da sempre tematica privilegiata della sinistra, quando la sinistra si ricordava cosa voleva dire stare dalla parte dei più deboli. La Società Italiana di Epidemiologia Psichiatrica commenta così lo stato dei nostri servizi per la tutela della salute mentale nel periodo 2015-2017 (dopo non è andata meglio, anzi): “In sintesi, il sistema di cura per la salute mentale nelle Marche presenta alcuni punti di forza relativi all’area ospedaliero-residenziale, con un tasso di riammissioni in acuto entro 30 giorni significativamente più basso ed un’ulteriore riduzione nel triennio e una percentuale di nuovi ammessi in strutture residenziali maggiore rispetto al valore nazionale. Altri aspetti positivi si riscontrano per quel che riguarda gli accessi in strutture semiresidenziali e la prescrizione di antipsicotici. Le principali criticità risultano legate ad un ridotto investimento in risorse economiche, alla scarsa capacità di intercettare nuovi casi ed erogare un numero soddisfacente di prestazioni. Infine, viene registrata una estesa offerta di posti residenziali ed una durata del trattamento residenziale maggiore della media nazionale e in aumento nel triennio. Complessivamente, la lettura dei dati presenta elementi significativi che si pongono all’attenzione della programmazione regionale: i bassi tassi di incidenza trattata, con particolare riferimento ai nuovi casi di schizofrenia, che indicano l’opportunità di implementare strategie volte ad aumentare l’accesso ai servizi territoriali; una maggiore attenzione al marcato utilizzo delle risorse residenziali la cui offerta appare ridondante rispetto al quadro nazionale”… ».
Insomma nelle Marche per la salute mentale si spende (investe) poco?
«Pochissimo, anzi si tende a tagliare risorse. Si investe poco nel servizio pubblico che ha problemi di accessibilità e si spende (per forza) molto sulla residenzialità a gestione “convenzionata”».
È una problematica di natura squisitamente politica?
«Assolutamente sì, come la ultima Giunta di centro-sinistra abbia fatto a scrivere nel suo programma 2015-2020 che la salute mentale era una priorità per poi scegliere di disinteressarsene, è uno di quei “misteri” di cui il Pd farebbe meglio ad occuparsi perché è in questioni come queste che stanno le radici della sua crisi».
Mancate risorse che si traducono quindi in…?
«In carenza di personale: nella nostra Area vasta 2 mancano esattamente 7 psichiatri, 7 psicologi, 19 educatori, 19 infermieri 4 assistenti sociali per definire un servizio di salute mentale appena sufficiente in normalità, per coprire l’emergenza dettata dal Covid e dalle conseguenze di questo lockdown ne servirebbero molti di più. Inoltre, mancando i professionisti esperti vengono meno le tecniche di acquisizione, i tempi per la riabilitazione psico-sociale, le borse lavoro».
Come mai così tanti posti vuoti?
«Semplicemente perché le gravidanze non vengono rimpiazzate, così come i pensionamenti».
E le graduatorie dei concorsi?
«Le graduatorie per incarico non sono state esperite, pertanto non è possibile spostare personale già presente in organico perché si creerebbero degli altri posti vacanti e non è possibile fare nuove assunzioni. Siamo bloccati».
In questa immobilità lei deve farsi in quattro come responsabile del DSM dell’Area vasta 2 e primario della Psichiatria di Jesi…
«In quattro ancora no, ma almeno in tre sì. Oltre a coprire il ruolo a Jesi e in Area vasta 2, sono anche alla guida del Centro di Salute Mentale di Ancona diretto finora da un collega che va in pensione e non rimpiazzato nell’urgenza».
Come si può intervenire?
«C’è un organismo a livello regionale che è la Consulta della salute mentale, mai convocata in cinque anni e neanche mai ascoltata… Confidiamo dunque nella nuova Giunta Regionale e nel neo presidente Acquaroli che possa, insieme al designato alla Sanità Saltamartini, intervenire dapprima con un ascolto urgente di tutti i portatori di interesse e poi con una cospicua e direzionata inversione di tendenza verso il Servizio Sanitario Regionale in primis».