JESI – Continua lo scontro intorno alla commemorazione separata, ieri 20 giugno, dell’eccidio dei sette Martiri di Montecappone. All’indomani della ricorrenza- che ha visto in mattinata la presenza dell’Anpi al Cippo che ricorda il massacro di sette giovani da parte dei nazifascisti e in serata la deposizione della corona d’alloro da parte del sindaco Massimo Bacci- quest’ultimo invita con una lettera a Jesi il presidente nazionale dell’associazione partigiani il prossimo 20 luglio, per la celebrazione dell’anniversario della Liberazione di Jesi. Bacci attacca l’Anpi locale – «stampella di una forza politica» – e parla di «biechi interessi di bottega» in vista delle elezioni amministrative del prossimo anno.
Nei giorni scorsi la spaccatura. In una comunicazione ai tesserati, l’Anpi aveva spiegato che all’origine ci sarebbe il rifiuto da parte del Comune di accettare l’oratore ufficiale dell’evento proposto come consuetudine dall’associazione partigiani. «Senza alcuna valida motivazione la proposta è stata rifiutata, mai accaduto in precedenza». Oratore che sarebbe a quanto pare stato l’ex sindaco Gabriele Fava, più volte e in varie vicende apertamente schieratosi contro l’amministrazione Bacci in questi anni. «Nessun veto» ha detto e ribadisce però a riguardo il Comune.
Domenica mattina al Cippo, introdotto dalla presidente dell’Anpi jesina Eleonora Camerucci (che ha riferito il messaggio di Pasquale Graceffo, nipote di Calogero, una delle vittime), ha in effetti preso parola l’ex sindaco Fava. Questi nel suo intervento ha fatto riferimento alla scritta di propaganda fascista riaffiorata all’Anagrafe e di cui l’amministrazione ha disposto il restauro: «Non si può chiedere di mantenerla in vita così com’è, sostenendo, con leggerezza, che è un ricordo storico. La si affianchi con un’altra che la collochi nell’ambito della dittatura in cui è nata. Niente nostalgici ricordi, solo memoria storica». E poi ancora, «Oggi capita di sperimentare forme di autoritarismo meno eclatanti ma non meno pericolose. Ad esempio, una sbrigativa arroganza di chi tratta i cittadini da sudditi».
Nel pomeriggio sul posto sindaco e vice Massimo Bacci e Luca Butini, il presidente del Consiglio Daniele Massaccesi, le associazioni combattentistiche. «Celebriamo- ha scritto il Comune- il 77° anniversario ricordando il sacrificio dei 7 giovani martiri che hanno dato la loro vita per una Italia libera, democratica, unita in quei valori fondamenta della Costituzione».
Di seguito la lettera inviata dal sindaco Massimo Bacci al presidente dell’Anpi nazionale e l’integrale del discorso pronunciato al Cippo di Montecappone da Gabriele Fava.
Martiri XX Giugno, il sindaco Massimo Bacci invita il presidente nazionale dell’Anpi
«Triste pagina per una comunità quando un’importante associazione chiamata a rappresentare valori condivisi abdica al proprio ruolo per diventare stampella di una forza politica». Così il sindaco Massimo Bacci che aggiunge: «Per questo ho sentito il dovere di scrivere al presidente nazionale dell’Anpi, Gianfranco Pagliaruolo».
Di seguito il testo della lettera inviata dal primo cittadino:
«Caro Presidente,
nel rivolgerle un grato pensiero per la dedizione nel testimoniare i valori dell’antifascismo e della resistenza, trasfusi nella Liberazione, madre della nostra Costituzione, desidero esprimerle il sincero rammarico per il comportamento tenuto dalla sezione locale dell’Anpi in occasione della commemorazione dei martiri di Montecappone – l’eccidio più efferato consumato dai nazifascisti nella nostra città – smarcandosi da quanto condiviso tra tutte le associazioni combattentistiche e d’arma riunite nel Comitato per la difesa delle istituzioni democratiche e lanciando gravi quanto ingenerose accuse al Comune, per altro del tutto prive di fondamento.
Non starò a tediarla fornendo una versione di parte, diversa da quella che le avranno sicuramente rappresentato, ben immaginando che uno strappo istituzionale così violento sia stato comunicato ai vertici nazionali dell’Anpi e non lasciato circoscritto a semplice episodio territoriale. Non posso però fare a meno di sottolineare anche la contestualità di quanto accaduto, ricorrendo la commemorazione dell’eccidio il 20 giugno e dunque coincidente con un’altra e del tutto diversa celebrazione che pure richiama i valori dell’Anpi, quella della Giornata Mondiale del Rifugiato che abbiamo ricordato con l’orgoglio di essere il terzo soggetto in Italia (dopo Roma e Bologna) per numero di migranti accolti e il primo in assoluto per enti territoriali coinvolti.
Approfitto viceversa di questo spiacevole episodio, per invitarla ufficialmente a Jesi il prossimo 20 luglio, quando celebreremo la Liberazione della città dal nazifascismo, ora che finalmente anche le Marche sono passate in “zona bianca” e dunque possiamo organizzare iniziative pubbliche con meno restrizioni. Sono certo che la sua presenza varrà ad ulteriore stimolo per rafforzare la tradizione democratica della nostra città e per contribuire a rasserenare il clima tra istituzioni e associazioni combattentistiche e d’arma, ritrovando quell’armonia che ho sempre apprezzato nei miei quasi 10 anni da sindaco e che per nulla al mondo vorrei che ora – in vista delle prossime elezioni amministrative – venisse barattata per biechi interessi di bottega.
Fiducioso in un positivo riscontro, resto volentieri a disposizione per ogni ulteriore informazione e colgo l’occasione per rinnovare i sensi di stima».
Martiri XX Giugno, il discorso di Gabriele Fava
«Il mio insegnante di italiano al Liceo, rivolto alla classe, ci diceva che “le parole sono pietre e, perciò, quando le usate, le dovete scegliere della dimensione giusta e lanciarle nella direzione corretta”. Questo ricordo e l’anomalia di questa commemorazione, mi hanno spinto a scrivere i brevi pensieri che intendo rivolgervi, per poter, appunto, soppesare attentamente le parole che dirò.
Oggi l’ANPI è qui, noi tutti siamo qui, accanto alla mirabile opera realizzata dall’artista Massimo Ippoliti, monumento simbolo dei Martiri del 20 giugno 1944 e rappresentazione materiale dell’immaginario collettivo che, senza soluzione di continuità, li accompagna nel tempo. Siamo qui, come ogni anno, in questo luogo straordinariamente evocativo, ogni volta con la stessa coinvolgente emozione della prima volta.
Non ho trovato una definizione sintetica del fascismo migliore di quella scritta da Ennio Flaiano, un intellettuale italiano del secolo scorso: “Il Fascismo è demagogico ma padronale, retorico, xenofobo, odiatore di culture, spregiatore della libertà e della giustizia, oppressore dei deboli, servo dei forti, sempre pronto a indicare negli ‘altri’ le cause della sua impotenza o sconfitta”.
Se avviene allora di rinvenire casualmente in un ufficio pubblico una scritta firmata dal capo di quel feroce regime, dal complice degli assassini di questi sette ragazzi, una scritta colma di risibile ipocrisia, inneggiante al lavoro, guarda caso, della stessa categoria concettuale di quella che sovrasta il cancello del campo di concentramento di Auschwitz, non si può chiedere di mantenerla in vita così com’è, sostenendo, con leggerezza, che è un ricordo storico. No, no mi dispiace, la storia non è fatta di ricordi ma di memorie.
‘Memoria’ e ‘Ricordo’ sono due vocaboli apparentemente simili e tuttavia profondamente diversi.
‘Ricordo’ deriva dal latino e significa “richiamare al cuore”: è quindi un termine attinente al campo dei sentimenti più che della ragione, ed è decisamente individualistico e soggettivo, è un momento interiore della singola persona. ‘Memoria’, al contrario, è una costruzione complessa, un’attività della mente collegata a un valore etico, fatta di rimozioni e di riconoscimenti, attraverso riflessioni individuali e collettive: la memoria riesce per questo, allo stesso tempo, a costituire una componente identitaria dei singoli individui e dell’intera società.
Memoria è anche una costruzione interpretativa. Ai fatti va dato un senso, e perciò vanno collocati in un contesto. Per questo convincimento l’ANPI condivide la proposta dell’Istituto Gramsci di affiancare la scritta di regime con un’altra, che la collochi, opportunamente, nell’ambito storico della dittatura in cui è nata. Niente nostalgici ricordi, dunque, ma solo memoria storica.
I partigiani e le forze antifasciste, con la Resistenza e la Lotta di Liberazione, hanno avviato alla democrazia il nostro Paese, ferito e stremato da 20 anni di dittatura fascista e dalla barbara occupazione nazista, hanno contribuito in modo decisivo alla nascita della Repubblica e alla stesura della Costituzione, conquiste straordinarie che hanno consentito al nostro sistema democratico di vivere e di superare anche momenti difficili.
Ci conforti sapere che quella vicenda di oltre settanta anni fa, ardua e coraggiosa, nonostante tutto, è ancora qui, nella nostra vita quotidiana, ancora fonte della nostra vitalità ideale.
È il dono più prezioso che potessimo avere, è l’eredità migliore che abbiamo ricevuto, per questo non dobbiamo lesinare energie nel difenderla ogni giorno, consapevoli, come siamo, che la democrazia non basta a sé stessa.
Oggi capita di sperimentare forme di autoritarismo meno eclatanti di quelle dittatoriali, ma non meno pericolose: ad esempio, una sbrigativa arroganza. Essa è tanto più intollerabile quanto più esercitata da chi ricopre, a qualsiasi livello della nostra struttura statale, cariche pubbliche, da chi dovrebbe agire esclusivamente in nome e nell’interesse della comunità, e non per sé stesso o per la propria parte.
Badate, l’arroganza di chi detiene il potere, di chi tratta i cittadini da sudditi, di chi si rifiuta di ascoltarli, non prendendo neanche in considerazione le loro legittime richieste, di chi discrimina le persone sulla base dei loro orientamenti ideali o del colore della pelle o, peggio, in base al grado di servilismo e di acquiescenza, l’insostenibile arroganza di chi presume di sé, non è generata dalla forza, come ritiene chi la pratica, ma è pubblica manifestazione di grettezza culturale e, talora, indice di un tasso intellettuale modesto.
Da ultimo, ma tutt’altro che per ultimi, rivolgo il mio partecipe, fraterno, commosso pensiero ai familiari di Armando Angeloni, di Luigi Angeloni, di Vincenzo Carbone, di Francesco Cecchi, di Calogero Graceffo, di Alfredo Santinelli, di Mario Saveri: questi sette giovani, vittime innocenti di una volontà efferata, abietta e disumana, rappresentano una componente indelebile della memoria antifascista della nostra città, sancita, tra l’altro, dalla Cittadinanza Benemerita, attribuita loro lo scorso anno. A nessuno, dico a nessuno, è consentito di offuscarla, per qualsiasi ragione, e di sottrarla, di fatto, al novero dei valori condivisi dai nostri concittadini. Vi garantiamo solennemente che l’ANPI non permetterà mai che questo avvenga».